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Mentre Morivo puntata #16 – La Morte di Katarzyna Zowada

La storia di Katarzyna sembra stata scritta da Buffalo Bill de Il silenzio degli innocenti: sparisce un pomeriggio di novembre del 1998 in Polonia, e quello che si troverà di lei sarà solo la pelle.

MENTRE MORIVO è un podcast scritto e narrato da Marica Esposito con l’editing di Stefano DM.

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Trascrizione del Podcast

Il fiume Vistola è il corso d’acqua più lungo della Polonia, divide di fatto la città di Varsavia in due: da una parte la zona più moderna, dall’altra il centro storico. Bagna anche Cracovia prima di sfociare nel Mar Baltico. La vita delle barche e dei piccoli rimorchiatori che ogni giorno lo navigano è spesso monotono: il fiume è calmo, tanto che nei mesi caldi le spiagge sono piene di turisti che si godono la frescura o fittano i kayak per esplorare la zona in autonomia. Il 7 gennaio 1999, una mattina rigida come molte altre, Miroslow avrà pensato che l’elica bloccata da qualche giorno sarebbe stata la cosa più emozionante di quella settimana. Eppure quando si decide a dare un’occhiata, pensando di trovarci dentro qualche ramo o rifiuto in plastica, fa una scoperta che cambierà per sempre la sua vita di marinaio.

PUNTATA PARTICOLARMENTE ESPLICITA – CONTENUTI VIOLENTI.

Miroslow sgancia dall’elica quello che a una prima occhiata gli era sembrato un sacco di pelle, dal colore bianco e dall’odore pungente. Poi vede un orecchio umano, così lascia tutto e corre ad avvertire la polizia. Dal primo rilievo è subito chiaro che quello che le autorità si trovano davanti sono i macabri resti di una donna: in realtà è la sua pelle, tagliata via con uno strumento affilato dalle cosce al collo, comprendendo il suo orecchio sinistro ma senza viso o le braccia. Anche i capezzoli sono stati asportati e c’è una cucitura in obliquo da sotto il seno destro alla spalla sinistra che richiude perfettamente la pelle come a farne un indumento da indossare. Le domande sono tantissime, la prima è: a chi appartiene?

L’esame del DNA comincia a dare una risposta: si tratta di Katarzyna Zowada. Katarzyna aveva 23 anni, studiava all’università di Cracovia, poco distante dal luogo del ritrovamento, ed era una ragazza gentile anche se un po’ solitaria. Anche se amava studiare non aveva da subito capito quale strada intraprendere, prima si era iscritta a psicologia, poi aveva optato per storia e alla fine era sbarcata alla facoltà di religione. Da qualche anno soffriva di depressione, suo padre era venuto a mancare nel ’96 e quest’evento traumatico l’aveva davvero sconvolta, tanto da farle pensare più volte al suicidio, così con l’aiuto della madre si era decisa a chiedere supporto medico ed era in cura in una clinica psichiatrica.

Quando scompare è il 12 novembre 1998: la madre la aspetta proprio in ospedale per accompagnarla a una delle sedute settimanali, ma Katarzyna non si presenta. La donna avverte subito le autorità, eppure le dicono di aspettare, Katarzyna è maggiorenne. In quel momento dalle tv non si sente parlare d’altro che di un caso incredibile che vede protagonista un calciatore italiano: si è appena disputata una partita di Coppa Uefa Parma-Wisla. Il match finisce 1-1 e il clima è tesissimo, i giocatori vengono alle mani, parte qualche sputo poi Dino Baggio inizia a sanguinare: dagli spalti era stato lanciato un coltello con così tanta foga da provocargli una brutta ferita. Il colpevole sarà arrestato giorni dopo, dando un bel grattacapo alla polizia.

Non sappiamo invece quando sia stata uccisa precisamente Katarzyna, secondo l’autopsia potrebbe essere stata in acqua fino a 3 settimane, quindi per quasi un mese la ragazza è stata viva, nelle mani di quello che sarebbe poi diventato il suo assassino. Questa sorta di “corpetto” ritrovato ricorda incredibilmente quello di Buffalo Bill del film Il silenzio degli innocenti, anche la vittima nella fiction sembra avere dei collegamenti con il caso reale perché il suo nome è “Kasia”, un diminutivo polacco proprio di Katarshina. L’omicida è quindi un emulatore?

Gli investigatori, analizzati i resti, cercano di stilare un profilo psicologico dell’assassino: probabilmente la ragazza è stata rapita, torturata e infine scarnificata morendo dissanguata. L’omicida è un sadico narcisista, potrebbe già essere stato condannato per altri reati e presumibilmente lavora come veterinario, macellaio o chirurgo. Non hanno alcuna pista: pur facendo del proprio meglio la polizia di Cracovia non può fare altro che aspettare il prossimo omicidio. L’omicidio, infatti, non si fa attendere: il 1 maggio ricevono una telefonata da un anziano signore che denuncia suo nipote di un crimine efferato. Quando si recano sul posto nel seminterrato trovano il cadavere di un uomo appeso per i piedi: è Witalij, ha 50 anni ed è stato decapitato. La pelle del suo viso è stata cucita insieme come a farne una maschera e il colpevole di questo scempio è il figlio: Wladimir. Il ragazzo viene portato in caserma e interrogato a lungo: Witalij si era trasferito a Cracovia dalla Russia dopo aver divorziato con la moglie e aveva portato con sé anche il figlio adolescente, Wladimir appunto, e suo nonno che ci vedeva poco e non poteva rimanere solo. Wladimir aveva covato a lungo odio per suo padre, fino a sfociare nella pazzia e indossare la maschera di pelle fingendosi lui per qualche giorno, al fine di nascondere l’omicidio al nonno.

La polizia nota subito dei legami con l’omicidio di Katarzyna e cominciano a indagare per mettere insieme i pezzi: Wladimir aveva studiato nella stessa facoltà di psicologia della ragazza, pur non nella stessa classe, Katarzyna aveva poi cambiato università e non ci sono prove che i due si conoscessero: Wladimir non ha mai confessato ed è stato condannato a 25 anni di detenzione solo per l’omicidio di suo padre.
Il profilo del killer, comunque, è peculiare e a Cracovia ci sono stati solo tre casi accomunabili tra loro: l’ultimo è avvenuto nel 1983, Jan, un uomo di mezza età che non aveva mai dato segni di squilibrio decise un giorno di uccidere e scuoiare sua moglie e il figlio adolescente, per poi disfarsi dei resti proprio nel fiume Vistola. Trovato e arrestato mentre completava l’insano piano era stato poi dichiarato incapace di intendere e volere e detenuto in un ospedale psichiatrico. Anche se al momento dell’omicidio di Katarzyna era in libertà vigilata, le sue pessime condizioni di salute non gli avrebbero permesso di portare a termine un altro omicidio. Caso chiuso, quindi?

Prima di essere chiuso il caso è stato analizzato a fondo, gli inquirenti hanno scoperto che prima di scomparire Katarzyna aveva iniziato a comportarsi in modo strano: saltava le lezioni e per le due settimane precedenti nessuno dei suoi amici l’aveva vista, forse frequentava qualcuno ma l’unico amico più intimo è stato interrogato a lungo e aveva un alibi. Nel 2000, sui resti, è stato ritrovato un DNA maschile, non appartiene a nessuno dei sospettati fin’ora ma dai segni ritrovati è stato aggiunto un altro tassello al profilo psicologico dell’assassino: è una persona che studia o è appassionata di arti marziali, perché i colpi sono precisi e ben assestati.
Il caso rimane un cold case, una pista fredda, fino al 4 ottobre 2017. Incredibilmente, quasi vent’anni dopo, la polizia polacca arresta un 52enne: Robert Janczewski. Era stato indagato brevemente nel 1999 perché segnalato come un “tipo strano che ama vestirsi da donna” ma non erano riusciti a collegarlo al caso.

Eppure il profilo combacia: Robert pratica le arti marziali, ha avuto un infanzia di abusi, precedenti per violenza sulle donne e ha lavorato all’istituto di Zoologia di Cracovia dove ha potuto apprendere la lavorazione delle pelli degli animali. È una donna a denunciarlo: dice alla polizia di averlo visto più volte visitare la tomba di Katarzyna e di esserne ossessionato. Durante la perquisizione sono state rinvenute delle tracce di sangue appartenute alla ragazza nel suo bagno: Robert dichiara di non conoscerla, secondo l’accusa invece ha finto di corteggiarla per convincerla a fidarsi e seguirlo senza opporre resistenza. Secondo le ultime fonti a nostra disposizione, nel 2019 Robert Janczewski risultava in carcere in attesa di processo.

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Fonti

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