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Mentre Morivo puntata #32 – La Storia di Giulia Tofana – Speciale Halloween

“…mio padre era solito dire che la ragione per vivere era essere pronti a restar morti molto a lungo”. Questo fa dire alla protagonista William Faulkner, nel suo romanzo “Mentre Morivo”. Le storie di questo podcast – contrariamente al titolo – non sono letteratura. Sono le vite rumorose, colorate, scompigliate, ordinarie e straordinarie di tante donne. Donne uccise a cui non è stata fatta giustizia, almeno fino ad oggi. Ve le racconto io, Marica Esposito, in questa quarta stagione, con l’editing di Stefano DM, in collaborazione con Spreaker Prime.

MENTRE MORIVO è un podcast scritto e narrato da Marica Esposito con l’editing di Stefano DM.

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Trascrizione del Podcast

Statisticamente le donne uccidono meno degli uomini, lo fanno per motivi diversi e soprattutto con armi diverse. Il veleno è una di queste, ed è presente nella nostra storia da millenni, tanto da continuare ad affascinarci per il suo essere subdolo e a volte talmente invisibile da rendere il malefatto un delitto perfetto. Con la cicuta si tolse la vita Socrate, Shakespeare amava far morire i suoi personaggi tramite l’avvelenamento, per non parlare della guerra fredda e delle decine di spie o avversari politici fatti fuori dalle alte sfere russe. Il veleno, insomma, è stata da sempre l’arma preferita per riscattarsi, vendicarsi, emanciparsi, liberarsi di un nemico. Non mi stupisce che tra i tanti casi celebri sia proprio una donna a giudicarsi il primato e ad entrare nella storia come l’avvelenatrice più prolifica di sempre, con una stima di vittime un po’ accertate e un po’ presunte che raggiunge le tre cifre: Giulia Tofana, cortigiana e fattucchiera, nel 1600 ha liberato centinaia di donne dal vincolo del matrimonio e lo ha fatto proprio con la sua acqua, l’acqua tofana.

Io sono Marica e questa è la puntata speciale di Halloween di Mentre Morivo, storie misteriose… di donne assassine! Un podcast Spreaker prime scritto da me e montato da Stefano DM.

Non è chiaro di chi fosse figlia Giulia che nasce nel quartiere Capo, a Palermo, all’inizio del XVII secolo. A quel tempo casa sua era zona araba, tanto da chiamarsi harat as saqalibah, il mercato degli schiavoni: gli emiri portavano con sé i loro schiavi slavi e tra bancarelle di olive e case adibite a bordelli improvvisati, anche le bambine dovevano imparare presto a badare a sé stesse e appena necessario, iniziare a lavorare o se proprio lo preferivano, entrare in convento. È un periodo, il 1600, in cui sono in pochi a passasersela bene in Italia: l’occupazione spagnola tassa e impoverisce, la peste è una nube nera che si avvicina all’orizzonte e c’è una costante minaccia da fronteggiare, l’inquisizione.

Giulia cresce e apprende la conoscenza delle erbe e dei veleni forse da sua madre Maddalena, prostituta, o forse dalla zia Theofania d’Adamo, giustiziata per aver ucciso proprio con l’arsenico suo marito Francesco. E nel 1633 le esecuzioni non si fermano a lei:

E’ febbraio, sul piano della Marina di Palermo, dove oggi sorge Villa Garibaldi, una donna viene accompagnata dai confrati della Real Compagnia dei Bianchi sul palco dove dovrà essere decapitata. La terribile sentenza arriva dalla Regia Corte Capitariale, dopo che in seguito a giorni di torture Francesca Rapisardi, detta La sarda, confessa di essere una strega. Di più: di essere una fattucchiera e di aver avvelenato decine di uomini con le sue pozioni. Nella piazza vengono adibite in fretta delle tribune di legno dove far accomodare più di 60mila persone accorse per assistere al macabro spettacolo. Francesca viene schernita e insultata dal pubblico, ma non li teme: poco prima che il boia cali l’ascia urla: “Ridete pure! Molti di voi oggi verranno con me”. Le panche cedono, probabilmente sotto il peso eccessivo, la folla spaventata inizia a correre in modo scomposto, qualcuno rimane ferito dalla caduta, altri vengono schiacciati dalla potenza della fuga: i morti, aveva ragione La sarda, sono tantissimi, tanto che le autorità devono indirre un lutto cittadino e sospendere le celebrazioni carnevalesche. Theofania, si scoprirà, aveva svelato anche a lei il segreto dell’arsenico, e per questo subirà di lì a poco la stessa sorte.

Giulia, intanto, si arrabatta e sopravvive come può, ma nel 1640 non sa più cosa fare, se non puntare alla sua scaltrezza: ascolta per l’ennesima volta una donna lamentarsi del marito, non ne può più di mazzate e negligenze, di schiavitù e umiliazioni, come fare a liberarsene? Si inventa fattucchiera come altre prima di lei, scartabella gli appunti tenuti nascosti in casa, si arma di pentolone e prepara un mix letale, soprattutto perché trasparente. Ora anche lei è una strega e quello che ha in mano è la sua pozione, “l’acqua tofana”.

È un intruglio a base di acqua, anidride arseniosa e limatura di piombo a cui Giulia sceglie di aggiungere anche Antimonio e succo di bacche di Belladonna, questa pianta medicinale è tra le più letali e cresceva rigogliosa nei giardini del mediterraneo: il principio attivo al suo interno, l’atropina, agisce su alcuni neurotrasmettitori causando spasmi, febbre, convulsioni e coma. La sua acqua è tanto portentosa quanto subdola, inodore e insapore, poteva essere aggiunta a zuppe e minestre in piccole dosi, e nel giro di un paio di settimane la vittima designata era levata di mezzo e i medici non potevano che dichiarare la morte naturale: d’altronde, tutto iniziava con dei piccoli problemi intestinali.

Giulia vendeva il veleno in piccole boccette di vetro, ufficialmente come “cosmetico portentoso per sole donne”, oppure vi applicava delle effigi di San Nicola di Bari, facendole passare come unguento miracoloso: ci mette poco, l’acqua tofana ad essere ribattezzata “manna di San Nicola”, appunto e il suo segreto infatti veniva saggiamente mantenuto da chi sapeva, all’apparenza povere vedove inconsolabili. Gli affari iniziando ad andare così bene che ha bisogno di una mano, così tira dentro anche Girolama Spema, che non è chiaro se fosse sua figlia o una sorellastra. Finalmente i vestiti possono essere rammendati con facilità, anzi, può farsene confezionare di nuovi, la dispensa è sempre piena di cibo e soprattutto, non deve dipendere da nessun uomo per tirare avanti. Ma le cose, dopo qualche anno, cambiano.

L’inquisizione siciliana è più spietata che mai e troppi uomini stanno morendo per non destare più di un sospetto: non solo, un marito denuncia la moglie al vicerè e la porta in tribunale con l’accusa di tentato omicidio. L’uomo si era sentito malissimo poco dopo aver mangiato la zuppa preparata da lei, e così i puntini cominciano ad unirsi… Giulia, temendo una confessione della donna, scappa in fretta e furia. È un frate, tal Nicodemo o Girolamo, a suggerirle la fuga e dove se non a Roma? Giulia ha bisogno di nascondersi per un po’ e lui, forse più innamorato di lei che del suo Dio, vuole cambiare vita e scoprire la città dei Papi. Prendono quindi casa a Trastevere e lei scopre la passione per la lettura, lo studio e la cultura. La vita a Palermo le sembra lontanissima: Roma è viva, sfarzosa, diversa dalla città da cui viene lei.

Ma c’è una cosa che rimane uguale: la condizione subalterna della donna. Anche a Roma i matrimoni vengono combinati più per convenienza che per amore, le doti sono l’unico pregio a cui si dà importanza, e il vincolo non si può sciogliere, neanche se sei stata presa in moglie troppo piccola, quasi bambina. Passano pochi anni e Giulia decide di riprendere in mano il suo business, un’amica è troppo disperata per non essere aiutata, il marito le riserva solo botte e la risposta non può che essere la vendetta: Nicodemo chiede aiuto a un frate speziale, come al solito serve arsenico, antimonio, un pizzico di Belladonna e chissà se la pozione cambia ancora, fattostà che un marito dopo l’altro viene seppellito.

È il 1651 quando la sua storia arriva a un bivio: La Contessa di Ceri ha appena fatto comprare una boccetta di acqua Tofana da una cameriera, ma non ha alcuna intenzione di seguire le scrupolose istruzioni che Giulia ha scritto in una lettera allegata: quella stessa sera svuota tutta la dose in una volta sola nella cena del consorte. La morte dell’uomo è quasi immediata, i parenti e la servitù assistono sgomenti alle sue urla strazianti: spasmi, vomito, cute arrossata e una fine cruenta che porta i gendarmi nella villa quella sera stessa. La prima sospettata è ovviamente la Contessa che però non ci mette molto a confessare, la pozione gliel’ha data una strega siciliana. Giulia Tofana.

Lei prova a chiudersi in una chiesa, chiede aiuto a Nicodemo, anche le guardie papali si mettono di mezzo, ma non c’è via di scampo, la fattucchiera deve essere arrestata e portata nella camera dei tormenti. L’inquisizione, comandata direttamente dagli spagnoli, la interroga e la tortura finché Giulia non ammette di aver venduto più di 600 dosi letali nel corso di quasi vent’anni. Non serve un processo molto lungo per condannarla a morte e la sentenza dovrà essere eseguita a Campo de’ Fiori, lì dove un altro eretico era già stato ucciso nel Febbraio del 1600. Giordano Bruno aveva poco in comune con Giulia, ma forse entrambi custodivano in sé un’ideale di libertà troppo moderno per l’epoca, lui infatti osava teorizzare che Dio è nella natura di tutte le cose, che la Terra, gli uomini e le stelle posseggono un’anima immortale e che non il possesso della verità, ma la sua ricerca, avrebbe reso libera l’umanità intera.

Nel 1659 non fu giustiziata solo lei, ma anche la figlia, i suoi aiutanti e diverse mogli che non avevano potuto far altro che confessare: altre, accusate per giusta causa o semplicemente per ripicca, riuscirono a scagionarsi dicendo di utilizzare il collirio di Belladonna per far brillare di più gli occhi, un’abitudine di bellezza che in effetti era in uso nella nobiltà dell’epoca. Giulia Tofana morì quel giorno, ma la sua acqua letale no: lo utilizzò la marchesa di Brinvilliers per liberarsi di tutti gli uomini della sua famiglia, prima di essere arrestata, arrivò pure a Vienna e venne forse usata per cercare di uccidere Mozart e l’acqua tofana viene perfino citata da Dumas nel Conte di Montecristo.

Chi era davvero Giulia Tofana, alla fine? Una scaltra imprenditrice senza scrupoli, una donna che per sopravvivere ed emanciparsi le aveva provate tutte, certo, alle spese di altri, o ancora una vendicatrice, antesignana femminista, con un senso della giustizia decisamente discutibile? Noi, non lo sappiamo, ma nella notte delle Streghe non possiamo che pensare anche a lei.

Mentre Morivo – storie misteriose di donne uccise, è un podcast Spreaker Prime di Marica Esposito, con l’editing di Stefano DM. Fonti e trascrizioni sono sul sito italiapodcast.it . Segui il podcast su Instagram e lascia una recensione sulla tua app di ascolto preferita. Se non ne hai ancora abbastanza di crimini, continua l’ascolto con NAP: Non un altro podcast true crime.

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Fonti

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