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Mentre Morivo Podcast puntata #35 – La Morte di Jill Dando

“Mio padre era solito dire che la ragione per vivere era prepararsi a restare morti molto a lungo”. Questo fa dire alla protagonista William Faulkner nel suo romanzo “Mentre Morivo”, ma le storie che voglio raccontarvi non sono purtroppo letteratura. Mentre Morivo Podcast è lo spazio in cui vi parlo di donne che sono state uccise per mano di chi voleva vederle zitte e buone. Donne che non hanno mai ottenuto giustizia, le cui storie sono ancora avvolte dal mistero e rischiano di andare dimenticate.
Questa è la nuova stagione, ed è sempre scritta e narrata da me, Marica Esposito, con l’editing di Stefano DM e in collaborazione con Spreaker Prime.

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Trascrizione del Podcast

Il 18 maggio 1999 sulla BBC va in onda, come ogni mese degli ultimi 15 anni, la nuova puntata di Crimewatch: è un programma seguitissimo nel Regno Unito, il format è semplice e funziona: coprire mediaticamente i casi di cronaca, chiedendo aiuto agli spettatori. Qualcuno ricorda quel viso, quella targa, ha notato qualcosa di sospetto? I colpevoli assicurati alla giustizia grazie a Crimewatch sono diversi, ma quel martedì l’edizione è speciale. In studio c’è solo Nick Ross, parla con voce rotta dall’emozione, stavolta la puntata indagherà sulla morte di Jill Dando, la copresentatrice che aveva reso noto in tutto il Regno Unito il programma. Jill era stata uccisa, sulla porta di casa, solo pochi giorni prima.

È un astro nascente, Jill Dando, una giornalista e presentatrice tv che si era fatta largo molto velocemente con il suo talento in un mondo fatto e pensato da uomini, prima che qualcuno mettesse fine alla sua vita e alla sua carriera il 26 aprile di 25 anni fa. Lei nasce nel 1961 nel Somerset e cresce letteralmente tra taccuini, registratori portatili e giornali: il padre e il fratello sono giornalisti già prima di lei, ma Jill ha qualcosa in più, forse un’empatia particolare, forse un sorriso capace di spiazzare, fatto sta che inizia come reporter nei giornali locali e finisce a soli 25 anni a presentare il telegiornale nazionale alla BBC, la più importante emittente del Regno Unito e la più antica del mondo.

Caschetto biondo, occhi azzurrissimi, somiglia a un’altra donna amata dagli inglesi: lady Diana. E mentre Jill Dando, nel 1997, riceve il premio come Personalità televisiva dell’anno, la principessa del Galles muore, lasciando il Regno nello sconforto. Anche in quel caso la giornalista ne dà notizia: in un filmato dell’epoca la si vede inginocchiata, sguardo diretto alla cinepresa, davanti alla quantità sterminata di fiori e regali lasciati dai sudditi lungo il Mall, lo storico viale che porta a Backingham Palace.

Jill è all’apice della carriera, tutti in qualche modo nel Paese la conoscono, ne ascoltano in sottofondo le notizie mattutine, o aspettano l’appuntamento mensile con la cronaca nera. La intervistano, la si vede spesso sulle copertine, è una presenza quotidiana che non disturba, con il suo modo di fare gentile, professionale, mai sopra le righe. Per questo quando la notizia della sua morte raggiunge le prime orecchie subito si pensa a uno scherzo: non possono aver ucciso Jill Dando, è una notizia troppo grande, troppo assurda. Poi lo annuncia la BBC, e allora il Regno Unito è costretto ad accettare quel che è, l’omicidio, in pieno giorno, di una giornalista.

Quella mattina del 26 aprile 1999 Jill sta rientrando a casa dopo aver passato qualche giorno dal fidanzato, il ginecologo Alan Farthing, con cui si sarebbe dovuta sposare di lì a pochi mesi. L’appartamento si trova al 29 di Gowan Avenue, nel quartiere Fulham. Non ha una routine precisa perché quella casa la sta vendendo e non ci vive più stabilmente, chi la aspetta lì deve averla seguita, avere un appuntamento con lei, o ancora, essersi appostato per giorni in attesa del suo rientro. L’assassino aspetta che Jill stia per aprire la porta di casa, la sorprende da dietro, la fa inginocchiare strattonandola per il braccio e quindi le spara alla tempia, poi si dilegua.

Una vicina chiama i soccorsi e riconosce subito la giornalista, lo dice chiaramente al numero d’emergenza, il 999: “Credo sia Jill Dando, e credo sia morta”. I tentativi di rianimarla sono inutili, sull’uscio di casa resta una pozza di sangue, la sua borsa nera e qualche sacchetto della spesa, ma anche il bossolo di proiettile calibro 9 sparato da una pistola semiautomatica.

Quando arriva anche la polizia l’assassino non dev’essere distante: un vicino sente Jill urlare alle 11:30, i soccorsi vengono chiamati dopo un quarto d’ora, quando una vicina di casa la trova riversa per terra, e Scotland Yard 10 minuti dopo. Vengono interrogate tutte le persone nel quartiere, è strano perché anche se qualcuno ha udito Jill urlare nessuno ha avvertito lo sparo, il killer può aver avuto quindi una pistola dotata di silenziatore. Nei film questo accessorio sembra far parte dell’arsenale di chiunque maneggi le armi, ma nella vita reale non è così comune e oltrettutto c’è da sfatare un mito: il rumore dello sparo non viene silenziato del tutto dalle armi che montano il cosiddetto “silenziatore”, ma piuttosto il suono risulta solo leggermente attutito. Com’è possibile, allora, non aver udito uno sparo in un quartiere residenziale, poco prima di un mezzogiorno qualsiasi? Forse è stata la stessa testa di Jill ad aver smorzato il rumore fragoroso dello sparo, o più probabilmente, l’assassino ha avuto fortuna.

La scena del crimine è comprensibilmente compromessa, i soccorritori hanno provato a rianimare Jill spostandola più volte e calpestando il sangue, disperdendo per sempre qualsiasi prova utile, però indagando nel quartiere viene fuori qualcosa: il vicino che aveva sentito l’urlo, Richard Hughes, si era anche affacciato brevemente alla finestra, giusto il tempo di vedere un uomo alto e vestito di nero allontanarsi a passo veloce.

Mentre a Scotland Yard uno dei 16 detective impegnati sul caso si dedica ad esaminare le migliaia di ore di registrazione delle telecamere di sicurezza posizionate intorno a casa di Jill, i sospetti partono dalle persone più vicine a lei: il fidanzato Alan, che poi sarebbe diventato il medico personale della regina, viene scartato subito, ci si concentra poi brevemente sull’ex compagno e collega più anziano con cui la donna era stata legata per quasi dieci anni e a cui aveva prestato dei soldi. Nulla di significativo. Arriva anche il turno dell’agente di Jill, l’uomo si occupa di gestire la sua immagine e ne cura la carriera ma per hobby scrive romanzi gialli. In uno di questi il protagonista è anche lui un agente che però uccide via via tutti i suoi clienti: se nella finzione può aver senso, chi lo farebbe davvero? Anche lui viene scartato.

Le ipotesi sono tante: uno stalker ossessionato dalla giornalista, così bella e rassicurante. O forse una vendetta messa a punto nell’ambito criminale, lo stesso che Jill e suoi colleghi cercavano, in qualche modo, di combattere attraverso il programma Crimewatch. O, ancora, una pista internazionale: in quegli anni, infatti, scoppia la guerra nei Balcani e lei non ci pensa un attimo a intervenire chiedendo aiuti umanitari per le persone che stanno fuggendo dal Kosovo. Ancora oggi c’è chi sospetta che nel caso c’entrino i gruppi terroristici serbi o jugoslavi, come punizione per l’intervento della NATO nello scontro, ma i servizi segreti inglesi sembrano smentire questa eventualità.

Alla polizia sembra sfuggire qualcosa: è stato un professionista, assoldato per uccidere Jill, o una persona qualunque che è riuscita ad evitare i sospetti? Dalle videocamere non sembra che la donna sia stata seguita, allora come faceva l’assassino a sapere quando aspettarla proprio lì, sull’uscio di casa? La donna aveva forse appuntamento con qualcuno? Un’addetta al traffico fa mettere a verbale di aver visto quella mattina una Range Rover blu, schizzare via proprio mentre si stava avvicinando per strappare una multa per sosta vietata: l’auto è stata cercata per mesi, ma non è mai stata ritrovate, né l’autista mai individuato.

La svolta nel caso sembra arrivare quando viene diffuso un identikit, una testimone descrive qualcuno di sospetto visto correre in un parco, poco lontano da casa di Jill: l’uomo disegnato ha le sopracciglia folte, gli occhi grandi, capelli scuri e indossava un cappotto lungo, nero. Ma di nuovo non è lui quello che cercano. Viene fuori che l’identikit ritrae James Shakleton un impresario funebre decisamente sopra le righe, che ama vestirsi da duca per attirare l’attenzione su di sé e che soprattutto ha il vezzo, per così dire, di autoincriminarsi per delitti mai commessi. La polizia non ci mette moltissimo prima di bollarlo come mitomane, eppure l’identikit li distrae per mesi. La ricompensa per l’identificazione dell’assassino arriva così a 250.000 sterline ma nei mesi nessuno si fa avanti e questo, per chi indaga, vuol dire una sola cosa: il killer è un solitario, un uomo che ha agito da solo e che non ha mai confessato a nessuno il suo delitto. Forse, quindi, non un professionista ma un maniaco.

L’anno sta volgendo al termine e il 2000 sembra una data futuristica, tanto che il millennium bug diventa quasi una fobia collettiva: si teme, infatti, che il cambio di data al nuovo millennio possa provocare il blocco dei software globali con esiti imprevedibili e nefasti. C’è chi parla del fallimento della borsa, chi ha paura che gli aeroporti possano andare in tilt, chi ne parla come il segno dell’apocalisse imminente. Nulla di tutto questo naturalmente, il primo Gennaio 2000 inizia quasi come tutti gli altri anni, ma nella centrale di Londra, la frustrazione è altissima: sono passati sette mesi e l’assassino di Jill Dando sembra essersi smaterializzato nel nulla. Si deve ripartire daccapo e riesaminare tutto, la risposta deve essere in quei faldoni che contengono migliaia di segnalazioni.

Ed è così. Nei primi giorni dell’indagine erano arrivati diversi messaggi in segreteria che puntavano l’attenzione sulla stessa persona: un uomo che aveva chiesto a diversi negozi di confermare la sua presenza sul luogo, in tal giorno e a quell’ora, quasi come a volersi costruire un alibi. L’uomo si chiama Barry Bulsara.

No, non è un parente neanche alla lontana di Freddy Mercury, al secolo Farrock Bulsara, Barry ama cambiare nome e ispirarsi alle celebrità che ama, il suo vero nome è Barry George. Sembra il colpevole perfetto: ha una fedina penale piena di crimini a sfondo sessuale, denunce per aggressioni o stalking e, oltretutto, vive a una manciata di metri di distanza da Jill Dando. Non solo, è disoccupato e passa le sue giornate a girare per Londra e fotografare a loro insaputa tutte le donne che incontra e che catturano la sua attenzione. L’appartamento è quello di un accumulatore seriale, la casa di Barry straripa di ogni genere di oggetto, tanto che è difficile muoversi tra una stanza e l’altra. Tra scatoloni e immondizia vengono trovate centinaia di riviste, molte con in copertina Jill, c’è un cappotto nero e lungo, simile a quello descritto dai testimoni e decine di rullini non sviluppati. In una delle foto, in seguito esaminate, c’è Barry con in mano una pistola semiautomatica e una maschera anti-gas a coprirgli il volto.

Come se un macabro fil-rouge continuasse a voler legare Jill Dando e lady Diana, tra i crimini contestati all’uomo c’è un arresto recente: era stato trovato nei giardini della residenza reale in tenuta mimetica mentre provava a irrompere nelle stanze della principessa con una corda e dei coltelli.

Interrogato l’uomo nega di essere lui nella foto con la pistola, dice di non aver mai sentito parlare di Jill Dando e di non possedere una pistola, eppure, nel taschino interno del cappotto gli investigatori riescono a rilevare una particella di quella che sembra polvere da sparo, la stessa rinvenuta sui capelli della vittima, e il 25 Maggio 2000 Barry George viene arrestato. Il processo è indiziario, ma l’accusa riesce a farlo condannare in pochi giorni all’ergastolo. Per la famiglia della giornalista è un incubo finito, ma lo è davvero?

Barry ha mentito, conosceva Jill e possedeva una pistola, somiglia perfino all’uomo descritto dal vicino, Richard Hughes, mentre si allontana dalla scena del crimine… ma basta una particella di bario e piombo per inchiodarlo alla giustizia? Secondo il giornalista della BBC Raphael Rowe, no. È la sorella di Barry a chiedergli aiuto, Raphael era stato condannato ingiustamente per omicidio solo qualche anno prima, ed era riuscito ad ottenere un nuovo processo grazie alla determinazione di sua sorella.

Raphael Rowe fa stilare una nuova perizia di parte da un esperto balistico, l’italiano Marco Morin: secondo lui quella singola particella poteva essere qualsiasi cosa, un residuo di combustione ad esempio, e comunque troppo poco per considerarla una prova regina. Nel corso del secondo processo viene evidenziato anche il basso quoziente intellettivo di Barry George, poco al di sopra del normale. Così, dopo 8 anni passati tra le sbarre, l’uomo viene dichiarato innocente e scarcerato, oggi vive in Irlanda.

Per l’opinione pubblica il colpevole è ancora in libertà, per la polizia invece non serve indagare altrove, così il mistero dietro la morte di Jill Dando sembra destinato a rimanere tale. Anche lei resta una candela nel vento, il cui ricordo non può spegnersi.

Se senti di essere in una situazione di pericolo chiama il 1522, il numero nazionale antiviolenza e stalking.

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