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Mentre Morivo puntata #20 – La Morte di Santina Renda

Le tragedie nel quartiere CEP di Palermo, a un certo punto, sembravano non voler finire: il primo a sparire è Nino, poi tocca a Santina e infine a Maurizio. L’unica mai ritrovata è proprio lei, pochi anni di vita e nessun colpevole per la sua sparizione e presunta uccisione.

MENTRE MORIVO è un podcast scritto e narrato da Marica Esposito con l’editing di Stefano DM.

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Trascrizione del Podcast

Ci sono quartieri, nelle periferie di tutto il mondo, considerati come irridemibili: quei quartieri dove, si dice, non nasce niente di buono. Per molti il quartiere CEP di Palermo era questo e da questo groviglio di case popolari in effetti il male, a un certo punto, sembrava non volersene più andare: tutto inizia nel 1988 quando scompare un bambino, Nino, miracolosamente ritrovato legato a un palo, in coma ma ancora vivo. Poi, nel 92, un altro corpicino viene ritrovato, stravolta straziato, è Maurizio Renda. Nel mezzo, tra una storia di ritrovata speranza e quella di un triste addio, c’è però la storia di Santina Renda: la bambina di sei anni che da quel quartiere è sparita senza più lasciare traccia.

Stai ascoltando Mentre Morivo, storie misteriose di donne uccise. Un podcast Spreaker Prime scritto e narrato da Marica Esposito con l’editing di Stefano DM.

Palermo, negli anni ’80, non se la passa benissimo: capoluogo di una regione bellissima e ricca di storia, è in quegli anni anche la culla di fatti tragici. È il periodo della seconda guerra di mafia: Cosa Nostra si contende il territorio, in modo così feroce che gli omicidi saranno più di 1500, tra questi ci sono Carlo Alberto Dalla Chiesa, Piersanti Mattarella e altri valorosi uomini e donne di Stato. Il decennio che finisce sembra portare una vera e propria Primavera, sono gli anni della rivalsa politica, di chi inizia a parlare e ribellarsi, gli anni ’90 si avvicinano e a tutti pare tirare un sospiro di sollievo… purtroppo non sarà così e Palermo combatterà la mafia ancora lungamente, fino ad arrivare alla sentenza del Maxi Processo nel 1992 che segnerà un durissimo colpo alla criminalità organizzata, che nel frattempo continua a mietere vittime.

Ma ora è marzo del 1988 è nel quartiere CEP si vive come al solito: è una landa che sa un po’ di desolazione, si estende fino al Monte Cuccio, nella periferia nord-occidentale di Palermo. Il quartiere si chiama in realtà San Giovanni Apostolo, ma l’acronimo sta per Centro di Edilizia Popolare, un po’ a segnare e marchiare non solo la sua origine ma anche il suo destino. Tra le case tutte uguali sta giocando a pallone Nino, un bambino di 6 anni che forse sogna di diventare come Totò Schillaci: anche lui camminava proprio in quelle strade polverose qualche anno prima e adesso gioca addirittura nel Messina! Quando il sole cala a inizio pomeriggio, e Nino non si trova, l’allarme scatta di bocca in bocca: forse si è perso, forse si è fatto male. La preoccupazione è tantissima ma quando le ultime speranze sembrano affievolirsi qualcuno lo trova: è legato con un filo di rame al palo di un canile poco distante dal quartiere, è in coma ma riesce a salvarsi e quando si sveglia dopo cinque giorni per fortuna – o purtroppo – non ricorda nulla. Il bambino è stato abusato e lasciato tramortito a morire.

Passano i mesi e arrivano “Le notti magiche” di Italia 90, arriva il film Johnny Stecchino a portare sotto i riflettori del grande pubblico la Mafia di Palermo e arriva un’altra tragedia nel quartiere CEP. Il 23 marzo 1990 Santina Renda è in cortile insieme alla sorella Francesca, in Via Pietro dell’Aquila. Santina ha sei anni, la sorella un anno in meno, un po’ giovano, un po’ si rincorrono, è un venerdì pomeriggio che sa già di Primavera, ma a sera a fare ritorno a casa è solo Francesca. Santina, dice, è salita in macchina con un uomo che le ha offerto una caramella, se l’è portata via e forse c’era anche una donna. Santina, a differenza di Nino, non viene ritrovata nonostante le ricerche nelle campagne e in tutti i pozzi artesiani, alla fine gli inquirenti cominciano a indagare sul solito rapimento da parte degli zingari. Tutti si mobilitano per Santina, il quartier generale è la Chiesa del quartiere, messa a disposizione dal parroco e ne parla anche il programma tv Chi l’ha visto? Arrivano tantissime testimonianze. La bambina viene avvistata in diversi campi nomadi, qualcuno la riconosce in una stazione di servizio in autostrada, qualcun altro dice che viene tenuta ostaggio da qualche parte. A giugno arriva addirittura una telefonata a casa, è la mamma Vincenza Scurato a rispondere: dall’altro capo una donna straniera “Santina è qui con me”, anche il papà Giuseppe si aggrappa a quella speranza e chiede di parlare con la figlia, una bambina ripete “Ma’”, in casa si convincono del rapimento.

Ma la famiglia di Santina non ha molto da offrire come riscatto: le bocche da sfamare sono tante e i genitori della piccola, neanche trentenni, si guadagnano da vivere raccogliendo ferro vecchio e sbarcando il lunario con molta difficoltà. È proprio questa povertà ad alimentare una diceria che sembra essere all’inizio verosimile: forse l’hanno venduta. Qualche giorno prima della scomparsa di Santina, infatti, una donna si presenta in caserma a sporgere denuncia: accusa l’ex convivente di aver venduto, qualche anno prima, loro figlia di appena qualche mese a una coppia di Casoria, in cambio di 15 milioni di lire. L’uomo è il fratello del nonno di Santina. Si indaga quindi su un traffico di bambini, perquisizioni, interrogatori… la pista non porta a nulla e allora si continua a perquisire i campi nomadi e si fanno appelli alla tv: anche in questo caso Santina viene vista ovunque ma qualcuno mormora soprattutto di averla vista insieme allo “scimunitu”, poco prima di sparire.

Il ragazzo che chiamano “lo scemo” è Vincenzo Campanella, è un sedicenne con turbe psichiche che vive vicino alla famiglia Renda, e anzi, ne è in qualche modo parente: suo fratello ha sposato la zia di Santina da parte di padre. Che Vincenzo faccia ogni tanto violenza a qualche bambino lo mormorano in tanti da anni, ma nessuno è davvero disposto a dirlo chiaramente, eppure gli inquirenti decidono comunque di vederci chiaro. Interrogato si contraddice a più riprese, addirittura accusa un altro ragazzo più grande ma dopo qualche giorno confessa: Ha portato Santina sul motorino ma lei è caduta sbattendo la testa, così ha caricato il corpicino su un motofurgone e l’ha gettato in un cassonetto.

Il quartiere a questo punto cade nello sconforto: è se fosse lui il mostro che tutti cercano fin dalla sparizione di Nino? I rifiuti che tutta la provincia produce, e quindi anche quelli del CEP, vengono raccolti nella discarica di Bellolampo, una vasta conca in cui i materiali indifferenziati si accumulano a tonnellate settimanalmente, spesso vengono appiccati incendi e il suo controllo è difficile e disastroso: cercare lì il corpo di Santina è come cercare l’ago in un pagliaio. Eppure, mentre gli inquirenti discutono il da farsi, “lo scemunito” ritratta: niente corpo, niente reato e così il Tribunale dei minori non può far altro che prosciogliere Vincenzo dalle accuse, le sue dichiarazioni – dicono – sono il frutto di una mente non lucida. Intanto arrivano altre segnalazioni: santina è a Messina, poi, secondo una lettera anonima, è finita in Jugoslavia nelle mani di un’organizzazione criminale dedita al traffico di organi. Districare questa matassa di informazioni e illazioni diventa difficilissimo e pian piano l’attenzione di chi indaga e del quartiere, scema.

È ancora marzo, stavolta del 1992, quando l’ennesima tragedia si abbatte sul quartiere: Maurizio Renda, sei anni, sparisce dal cortile di casa mentre gioca con gli amici, è il cugino di Santina. A differenza della bambina, però, la testimonianza di chi è lì con lui diventa decisiva: un bambino dice subito che sta con Enzo, sono andati con il motofurgone a riempire l’acqua per spegnere il rame. La coincidenza del rame fa subito sobbalzare chi indaga: Vincenzo Campanella recupera il rame che sta avvolto nella plastica e per farlo gli dà fuoco, poi per raffreddare i fili ci butta sopra l’acqua. Ed è con un filo di rame recuperato che era stato ritrovato legato anche Nino, il bambino che aveva dato il via a questa serie di omicidi e sparizioni. Stavolta Vincenzo viene fermato e torchiato, dopo un po’ confessa tutto: ha convinto con una scusa Maurizio a salire con lui sulla motoape, l’ha aggredito ma lui si è dimenato con tutte le sue forze, così prima gli ha dato un colpo di spranga in testa e poi l’ha strangolato con un filo di rame. L’ha caricato sul mezzo e l’ha gettato tra le sterpaglie, in aperta campagna.

Il piccolo corpicino viene ritrovato seguendo le indicazioni, di fianco al cadavere la spranga e il filo usati come armi del delitto. Stavolta non ci sono dubbi che il colpevole sia lui, così viene rinviato a giudizio dal GIP, accusato anche dell’uccisione di Santina. Sembra la svolta nelle indagini, tanto che – sicuri – repubblica titola: “Trovato il bruto che ammazzò Santina Renda”. Ma la condanna non arriva. Vincenzo Campanella viene pur se instabile viene ritenuto capace di intendere e volere al momento dell’aggressione nei confronti di Maurizio e riconosciuto quindi colpevole di omicidio e violenza carnale, la pena di 30 anni viene poi ridotta a 29.

Santina, invece, esce di scena: non ci sono prove, non si è trovato il suo corpo, i giudici lo assolvono anche in appello. Mentre in tv va in onda La Piovra, solo i genitori continuano a cercare la bambina dal viso imbronciato che si vede nell’unica foto che si ha di lei: dopo 33 anni il mistero di Santina è ancora chiuso sotto quel nugolo di case, ancora periferiche, ancora abbandonate.

Nel 2001 il padre di Santina finisce arrestato in un blitz antidrogra, mentre il nonno finisce in manette nel 2020, accusato di associazione mafiosa.

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