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Mentre Morivo puntata #21 – La Morte di Serena Mollicone (Il Delitto di Arce)

Serena Mollicone ha 18 anni quando scompare da Arce, il primo giugno 2001. Trovata morta qualche giorno dopo, il suo omicidio è tutt’ora irrisolto: il 16 luglio 2022 gli imputati e principali indiziati Marco e Franco Mottola sono stati assolti dalla Corte d’Assise di Cassino.

MENTRE MORIVO è un podcast scritto e narrato da Marica Esposito con l’editing di Stefano DM.

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Trascrizione del Podcast

È l’11 aprile 2008 quando vicino alla diga di Arce viene notata una Fiat Marea apparentemente parcheggiata, ma con le portiere aperte. Qualcuno si avvicina, giusto il tempo per vedere un braccio abbandonato lungo il corpo e un rivolo di sangue. Sul sedile di guida c’è il cadavere di Santino Tuzi, brigadiere dei carabinieri, che sembra essersi suicidato con un colpo di pistola allo stomaco. La notizia si diffonde subito nel frosinate ed è così inattesa che diversi amici e colleghi si precipitano sul posto. Si bisbiglia di un vecchio fantasma, qualcuno alla fine lo urla addirittura: “Serena, aveva indagato sul caso di Serena, l’hanno ammazzato loro.” Serena è Serena Mollicone, trovata morta in un bosco solo sette anni prima.

Stai ascoltando Mentre Morivo, storie misteriose di donne uccise. Un podcast Spreaker Primescritto e narrato da Marica Esposito con l’editing di Stefano DM.

Descritta dalle parole di papà Guglielmo, Serena è una figlia modello. Una ragazza di appena 18 anni, giovane ma con le idee già chiare. Vive con il papà in una bella casa di Arce, la sorella Consuelo si è trasferita per lavoro a Como e i due si sono avvicinati ancora di più dopo la scomparsa della mamma. La ragazza frequenta l’ultimo anno dello psicopedagogico di Sora, si sta preparando per la maturità, intanto suona il clarinetto nella banda di paese, aiuta il papà ex insegnante in cartoleria e a casa, sogna di fare la giornalista. Il paesino in cui è nata e dove tutti si conoscono sembra, come lei, un posto tranquillo: un luogo di mezzo tra la Campania e il Lazio, pochi abitanti e un centro storico dai tratti medievali. Eppure, tra le pieghe della monotonia si nascondono misteri e traffici illeciti.

La mattina del 1 giugno 2001 Serena esce di casa come sempre, deve andare in ospedale a fare un’ortopanoramica: l’appuntamento è a Isola dei Liri, a 10 chilometri da Arce, prende l’autobus e intorno alle 10 la visita è già finita e lei pronta a tornare a casa. Prima di salire sul bus che la riporterà ad Arce sarebbe dovuta andare anche dal dentista a presentare le lastre e poi a stampare la tesina, ma da quella mattina Serena scompare nel nulla. La ragazza è così precisa e indipendente nei suoi impegni che Guglielmo quasi non si accorge della sua assenza, alle 17 però il fidanzato della figlia gli telefona preoccupato: aveva appuntamento con Serena ma non la vede dalla sera prima. Forse è un litigio tra fidanzati, ma passa qualche ora e della giovane non si hanno ancora notizie, così Guglielmo si attiva tra chiamate in ospedale e ai conoscenti.

Alle 22, in preda all’agitazione, l’uomo si presenta in caserma, con la consapevolezza di trovarla chiusa: d’altronde Arce conta seimila abitanti, e anche se nel sottobosco della vita notturna il problema della droga è sempre più insistente, i carabinieri svolgono le loro attività nei normali orari di ufficio. Eppure, quella sera, a precipitarsi ai cancelli c’è addirittura il maresciallo in persona: Franco Mottola. Mentre i due parlano della scomparsa di Serena fa rientro da un giro di pattuglia anche Santino Tuzzi: le vite dei tre uomini si legano in questo momento a doppio filo, anche se forse non se ne rendono subito conto.

Le ricerche di Serena partono in un primo momento solo con i volontari: scandagliano le campagne di Arce fino all’alba, vanno in stazione, a scuola, nei locali che abitualmente frequenta. Il paese è tappezzato di sue foto: ha i capelli mossi e la riga in mezzo, il viso pulito e illuminato da un gran sorriso. Passano due giorni di angoscia prima del ritrovamento.

Domenica mattina, nel boschetto dell’anitrella, vicino al rivolo del fiume, Serena è nella boscaglia con mani e piedi legati dallo scotch. In testa ha stretto un sacchetto bianco e blu dell’Eurospin, naso e bocca sono coperti anche loro da nastro adesivo e indossa i vestiti con cui era uscita il venerdì precedente: gli anfibi con la para alta, i pantaloni scuri e la canottiera rosa a fiori. Il corpo è legato agli arbusti con del fil di ferro e intorno a lei i libri di scuola lanciati alla rinfusa, non si trova invece il suo cellulare e qualche altro effetto personale.

L’omicidio sembra da subito molto strano, soprattutto perché pare certo che la giovane non sia stata uccisa lì: il corpo è pulito nonostante abbia piovuto, e quella zona era stata già battuta più volte, anche dai carabinieri, senza risultati. L’autopsia smentisce la tentata violenza finita male: sul corpo di Serena non ci sono segni, è perfettamente vestita e l’unico trauma è quello alla testa vicino alla tempia sinistra. La causa della morte è infatti un’emorragia celebrare in seguito a un violento trauma al capo.

A questo punto gli inquirenti partono con le indagini che saranno, col senno di poi, tra le più misteriose della storia italiana. In paese fioccano testimonianze, avvistamenti, tutti sembrano aver visto Serena di continuo il 1 giugno, scatenando una confusione senza precedenti. I carabinieri si concentrano su tutti e appena possono arrestano un sospettato: è Carmine Belli, il carrozziere di zona. È sulla trentina, ex allievo di Guglielmo Mollicone, un ragazzone umile e un po’ introverso.

Come molti altri si presenta in caserma per fornire la sua testimonianza. Dice di aver visto Serena il venerdì della scomparsa, era davanti a un bar del paese insieme a un ragazzo suo coetaneo, biondo e con i capelli a spazzola con cui litigava. Avvalora la sua testimonianza descrivendo qualche dettaglio: la maglietta rossa della ragazza, i pantaloni neri e il fatto che stesse piangendo. Gli inquirenti si presentano nel bar e ascoltano un’altra testimonianza simile: secondo la barista Simonetta Serena sarebbe salita su una Ypsilon 10 bianca con un ragazzo biondo che pochi minuti prima aveva comprato delle Marlboro light. Eppure, nonostante le concordanze tra le due versioni, Carmine finisce in carcere con l’accusa di omicidio e le dichiarazioni della testimone non vengono messe a verbale. In tribunale Carmine ha lo sguardo spaesato e impaurito, ha una figlia poco più che neonata a casa, dei genitori anziani a cui badare. Dopo due anni di processi viene scarcerato e assolto perché il fatto non sussiste. Ma chi è il ragazzo biondo che ben due testimoni riferiscono di aver visto insieme a Serena poche ore prima della sua morte?

Secondo le indagini più recenti si tratta di Marco Mottola, il figlio del maresciallo dei carabinieri che indaga sul caso Mollicone. Marco è coetaneo di Serena, hanno frequentato le medie insieme e in paese si vedono spesso, secondo l’allora fidanzato della ragazza, a lei non andava bene che Marco spacciasse e i suoi comportamenti da bullo di quartiere: l’avrebbe a più riprese minacciato di denuncia, anche davanti ai rispettivi amici. Per molti, depistaggi e intimidazioni partono in questo momento: appena ad Arce si diffonde la voce che Serena è stata vista con il figlio del maresciallo, tutti i testimoni prima loquacissimi, spariscono. Nessuno vuole più parlare e le indagini si arenano.

Siamo di nuovo al 2001, si sta svolgendo il funerale di Serena e tutto il paese è riunito a piangere una storia tanto tragica quanto avvolta dal mistero. Papà Guglielmo è disperato, abbraccia la bara della figlia uccisa ma all’improvviso l’omelia viene interrotta dalle sirene dei carabinieri: gli agenti lo portano via, gli dicono, per sbrigare delle pratiche. Solo qualche sera prima, durante una veglia funebre, la scena era stata la stessa. Anche in quella occasione lo portano via e gli chiedono i diari di Serena e anche il cellulare. Eppure Guglielmo ha subito sottolineato che quel cellulare non era stato ritrovato, come anche le chiavi di casa e l’orologio: ha guardato dappertutto in casa e nei cassetti della figlia, ma il maresciallo insiste di andare a casa a controllare di nuovo in camera.

Incredibilmente il cellulare, durante la notte della veglia, ricompare. A Guglielmo basta aprire il primo cassetto della scrivania per trovarlo e lo consegna subito agli inquirenti: una volta analizzato mostrerà due cose strane. La prima è che non vengono rilevate impronte digitali di alcun tipo, come fosse stato pulito una volta in caserma, la seconda è un numero in rubrica. Segnato con il nome de Il diavolo c’è il numero 666. Abbandonata la pista passionale si passa quindi a quella satanica, che chiaramente non porta a nulla. Sembra un altro depistaggio.

Tutto tace fino all’11 aprile 2008. Santino Tuzi, il brigadiere che nel 2001 era di servizio alla caserma di Arce, viene ritrovato morto. Apparentemente sembra subito un suicidio, eppure molte cose non quadrano: quella mattina il carabiniere è di riposo, lavora all’orto tranquillamente quando riceve una telefonata, si allarma, esce di casa di corsa. Passa quindi in caserma a prendere l’arma, si dirige alla diga e poi il mistero. Il corpo viene trovato seduto alla guida, la pistola adagiata sul sedile di fianco e un solo colpo gli buca lo stomaco procurandone la morte, eppure dalla pistola i proiettili a mancare sono due. Cos’è successo?

Sulla zona si affollano le persone, arriva anche Marco, un caro amico con cui Santino si confida spesso. Marco è shockato, inizia a urlare davanti alle telecamere lanciando accuse che prima di allora nessuno aveva avuto il coraggio di pronunciare: per lui non è stato un suicidio ma un omicidio, e i colpevoli o i mandanti, sono proprio i Mottola, per evitare che l’uomo testimoniasse riguardo la morte di Serena.

Non è facile ricostruire le indagini, tra omissioni, reperti scomparsi o testimonianze mai messe a verbale, eppure è vero che Santino aveva dichiarato, qualche giorno prima del suo apparente suicidio, di aver visto Serena entrare in caserma e di non esserne mai uscita. Il vaso di Pandora è definitivamente aperto, così come le indagini, i media non parlano d’altro.

Viene fuori che nel 2004 il maresciallo Mottola viene sostituito da Gaetano Evangelista: è in questo momento che qualcosa inizia a cambiare. Evangelista, negli anni, nota strani comportamenti tra i carabinieri, rapporti tesi, strani detti e non detti, così inizia a indagare. Nel 2007 presenta in procura un faldone di più di cento pagine in cui raccoglie il frutto della sua investigazione: testimonianze dei carabinieri interrogati, una porta in legno danneggiata, strane incongruenze scoperte nel caso Mollicone, e la reticenza di alcuni militari a collaborare, come Vincenzo Quatrale. Quatrale, collega e all’epoca molto amico di Tuzi, viene intercettato mentre suggerisce al brigadiere di “stare attento alle dichiarazioni che ha intenzione di fare”. Forse un consiglio spassionato, forse un avvertimento. Santino però testimonia comunque in procura portando alla luce nuovi fatti: dice che il 1 giugno 2001 alle 11 ha visto Serena entrare in caserma per incontrare Marco Mottola, e che alla fine del suo turno da piantone, alle 14:30, non l’aveva ancora vista uscire. Una settimana dopo questo verbale, Santino Tuzi muore. Con le nuove prove agli atti l’indagine prosegue finalmente spedita e il maresciallo Mottola, sua moglie e il figlio Marco vengono iscritti nel registro degli indagati, per omicidio volontario e occultamento di cadavere. Mentre il luogotenente Quatrale viene accusato di istigazione al suicidio e un altro carabiniere, Francesco Suprano, di favoreggiamento.

La tesi dell’accusa è semplice: Serena vuole denunciare Marco, quindi lo incontra davanti al bar per dirglielo, i due litigano ma poi salgono sulla Ypsilon 10 di Mottola, forse il ragazzo si offre di riaccompagnarla a casa. Serena però si dimentica in auto i libri e la tesina, così torna in caserma. Qui litigano di nuovo e Marco Mottola in un gesto d’ira le spinge la testa contro una porta, stordendola e facendola cadere a terra. Il colpo fortissimo sarebbe quello che ha poi lasciato un grosso buco nello stipite al vaglio di molte perizie. Secondo l’autopsia Serena sarebbe morta in seguito a una lunga agonia, ma nessuno della famiglia Mottola la soccorre, piuttosto Marco va in paese per crearsi un alibi, la madre si prodiga per pulire tutto e il padre mette in atto la sua lunga opera di depistaggio: compreso l’abbandono del cadavere in un luogo isolato, la sparizione e il successivo ritrovamento del cellulare, la distruzione di prove e testimonianze, l’arresto di Carmine Belli.

Durante le udienze, tra i vari dibattimenti, la dottoressa Cristina Cattaneo presenta una superperizia che non lascia spazio a dubbi: secondo il medico legale il cranio di Serena combacia perfettamente con il buco della porta, l’ha dimostrato con diverse simulazioni. Inoltre sul nastro adesivo che ricopriva la ragazza sono state trovate tracce di resina, legno e una vernice coerente a quella che ricopre la caldaia della caserma di Arce. I Mottola, invece, si sono dichiarati completamente estranei al delitto, Marco Mottola sostiene di non aver neanche mai spacciato, ma semplicemente di aver fatto uso di erba in gioventù.

Il 16 luglio 2022 la corte d’Assise del tribunale di Cassino ha emesso in primo grado la sentenza di assoluzione piena per tutti gli imputati. Poco prima dell’apertura del processo, il 31 maggio 2020, Guglielmo Mollicone è morto in seguito alle complicanze di un infarto, ma per 20 anni si è battuto strenuamente per ottenere giustizia per la sua Serena.

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