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Mentre Morivo puntata #22 – La Morte di Antonietta Longo, la decapitata di Castel Gandolfo

Un giorno assolato di luglio, una gita in barca e una macabra scoperta: sulle sponde del lago Albano viene ritrovato un cadavere senza testa, è quello di Antonietta Longo ma il colpevole non sarà mai assicurato alla giustizia.

MENTRE MORIVO è un podcast scritto e narrato da Marica Esposito con l’editing di Stefano DM.

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Trascrizione del Podcast

A Castel Gandolfo l’estate si aspetta sempre con una certa urgenza: d’altronde è la residenza estiva papale e la sua posizione, a picco sul Lago Albano la classifica a merito tra i borghi più suggestivi d’Italia e di certo del Lazio tutto. Anche nel 1955 il caldo è quindi arrivato, ma sulle sponde delle acque non ci sono bagnanti ad abbronzarsi, bensì un corpo abbandonato di donna. L’hanno chiamata, di lì in poi, la “decapitata di Castel Gandolfo”, ma si chiamava Antonietta. Antonietta Longo.

Stai ascoltando Mentre Morivo, storie misteriose di donne uccise. Un podcast Spreaker Primescritto e narrato da Marica Esposito con l’editing di Stefano DM.

È una domenica di luglio e come spesso accade, per trovare refrigerio qualcuno fa un giro in barca. In questo caso sono due uomini, Antonio Sollazzi, meccanico, e Luigi Barboni, sacrestano. Hanno affittato l’imbarcazione a remi in uno stabilimento poco lontano ma la giornata cambia repentinamente dopo pochi minuti. Antonio decide di fermarsi su una spiaggetta sulla riva di Acqua Acetosa e casualmente mentre sbircia tra sterpaglie e rami nota qualcosa di terribile. Prende a braccetto l’amico e inizia a correre verso la barca, rema e strabuzza gli occhi, non parla finché non è a debita distanza.

Ci vogliono due giorni di battibecchi e discussioni affinché i due denuncino ai carabinieri la cosa, spaventati e preoccupati. Quello che hanno visto è un cadavere decapitato, nudo e nascosto solo dalle pagine di un giornale: il Messaggero, data 10 luglio 1955. E’ una storia nella storia, perché sulla prima pagina campeggia una notizia che rimarrà decisamente più impressa agli italiani di lì in avanti, Guareschi scarcerato. L’affair Guareschi-De Gasperi che il giornalista definì il “Ta-pum del cecchino” era iniziato nel gennaio 1954, quando sul settimanale Candido da lui diretto vennero pubblicate due missive apparentemente firmate da De Gasperi e risalenti alla seconda guerra mondiale. Le lettere, indirizzate al generale britannico Alexander, chiedevano il bombardamento di alcuni punti nevralgici di Roma, come l’acquedotto, «per infrangere l’ultima resistenza morale del popolo romano» nei confronti dei fascisti.

Il politico querelò in fretta il giornale e tra perizie e contro perizie il dibattito pubblico si infiammò e il processo pure. Guareschi alla fine sentenzia: «Per rimanere liberi bisogna, a un bel momento, prendere senza esitare la via della prigione» e scontò in silenzio i suoi 409 giorni di carcere per diffamazione. Mentre una giovane donna viene assassinate sulle sponde del lago, Guareschi rivede il cielo.

I carabinieri, quindi, scoprono il cadavere solo due giorni dopo, il 12 luglio 1955. Il corpo è già in avanzato stato di decomposizione, la donna ha trent’anni, forse alta sul metro e 60. Carnagione abbronzata, mani e piedi curati e unghie ben laccate di rosso. Gli effetti personali sono pochi: un portachiavi, la foto di una donna a braccetto con un uomo e un dettaglio cruciale: un orologio bianco ancora indossato al polso, marca Zeus, fermo sulle lancette: 3:36. Eppure manca la testa, tagliata di netto da mani esperte. L’unica certezza che gli inquirenti hanno è che la vittima è morta lì, sotto il corpo, il terreno è infatti intriso di sangue fino a dodici metri di profondità.

Mentre il medico patologo si occupa dell’autopsia, si indaga quindi sulle ragazze scomparse e poi sull’orologio, non così comune, è stato prodotto infatti in sole 150 esemplari: ha poi inciso il nome “Ines” e il numero di fabbricazione 858 è ben visibile. Basta un rapido giro negli orafi romani per arrivare al nome di chi ne aveva da poco richiesta una ri-cromatura: Antonietta Longo. Arrivati a casa di Cesare Gasparri, dove la giovane prestava servizio ormai da sei anni, ne hanno la conferma: Antonietta aveva chiesto 20 giorni di ferie per andare a trovare i parenti in Sicilia ed era partita il primo luglio, non solo, le aveva comprato lui stesso il biglietto per Mascalucia, vicino Catania.

Gli anni ’50 sono un periodo molto particolare della storia italiana: c’è voglia di cambiamento, c’è il boom economico che sembra quasi un miracolo, finalmente si produce, si guadagna e si spende. Eppure, dietro questa facciata di rinnovamento c’è una forte ambivalenza nel Paese, il tessuto violento e maschilista è ancora saldo e presente, l’aborto è fermamente illegale, il tradimento femminile viene condannato con la reclusione. Antonietta scappa dalla povertà siciliana alla fine degli anni ’40 dopo aver passato quasi tutta la sua vita in orfanotrofio: alla maggiore età le scelte sono due, farsi suora o cercare una nuova vita. Così finisce nella Roma bene dove lavora fino allo sfinimento per mettere qualche soldo da parte, quando può esce con le amiche o va a ballare il sabato sera: attimi spensierati che non aveva mai vissuto prima.

Comunque a Mascalucia, Antonietta, non ci arriva viva.

Gli investigatori riescono a ricostruire le sue ultime ore di vita: il 1 luglio 1955 esce di casa con un biglietto per la Sicilia, tutti i suoi risparmi e una valigia comprata pochi giorni prima. Non sale su nessun treno, ma rimane qualche giorno in una pensione vicino alla stazione. Poi, il 4 luglio, lascia il bagaglio al deposito, imbuca per la famiglia una lettera in cui dice che sta correndo a sposarsi e poi sparisce, presumibilmente per morire una manciata di ore dopo.

Intanto arrivano i risultati dell’autopsia: Antonietta ha diverse pugnalate all’addome e alla schiena, e oltre ad essere stata decapitata con precisione chirurgica ha le ovaie letteralmente distrutte, qualcuno dice asportate. L’avanzato stato di decomposizione, però, non riesce a dirci se per un aborto casalingo, un macabro rituale dell’assassino o una conseguenza dei colpi efferati. Fatto sta che il suo teschio non verrà mai più ritrovato, nonostante le ricerche approfondite nel lago anche in decenni successivi.

Vengono interrogati quindi i primi possibili testimoni: Primo Petriconi è il proprietario dello stabilimento di barche vicino a dove è stata ritrovata Antonietta. L’uomo dichiara di aver fittato, il 5 luglio, l’imbarcazione numero 3 a un uomo e una donna che gli erano sembrati tranquilli e di cui fa una descrizione sommaria. Quella sera, non fanno rientro a consegnarla, e ritrovano la barca solo il giorno dopo, con un remo solo. Antonietta è stata quindi uccisa da qualcuno di cui si fidava e che aveva già con sé l’arma del delitto, e perché?

Nei pressi della stazione, invece, la cassiera di un bar dice di ricordarsi della ragazza, le aveva chiesto, la mattina del 5 luglio, di telefonare a un certo Antonio. Un’amica di Antonietta, Lina Federico, rilascia un’intervista in cui riferisce che la giovane aveva subìto abusi proprio nella casa in cui lavorava e forse era rimasta incinta del datore di lavoro. Ad avvalorare la probabile gravidanza è una sarta che dice di averle allargato un abito proprio per accogliere la pancia che di lì a poco sarebbe cresciuta. Dopodiché su Antonietta se ne dicono tante: complice di contrabbandieri, invischiata con uomini poco affidabili, o forse uccisa per ingenuità da un amante già sposato che voleva mettere alle strette. Quello che sappiamo di certo, però, è solo che i risparmi che Antonietta aveva ritirato il giorno prima di lasciare casa Gasparri sono spariti.

Le indagini sulla morte di Antonietta Longo si arenano velocemente, fino all’archiviazione. Nel 1957 un detenuto siciliano di Regina Coeli accusa il cognato della sua morte, secondo lui l’uomo era dedito alle truffe amorose e aveva già minacciato delle donne che volevano denunciarlo. L’accusa viene presto bollata come falsa e anche questa pista cade nel vuoto. Sedici anni dopo l’omicidio, invece, al procuratore generale della corte d’appello di Roma arriva una lettera anonima su cui è scritto che Antonietta sarebbe morta in seguito a un aborto e che ad ordinarlo fu questo fidanzato, tale Antonio, pilota dell’aeronautica e già sposato. Le coltellate al ventre erano state sferrate per nascondere il misfatto e per evitare un riconoscimento era stata infine decapitata.

I dubbi rimangono tantissimi: perché lasciarle al polso quell’orologio così particolare, e com’è stato possibile non udire le urla strazianti di Antonietta? Se davvero la giovane avesse voluto abortire, in un momento storico in cui non solo era illegale ma anche socialmente mal visto, forse a obbligarla era stato qualcuno che da perdere aveva qualcosa in più che una gravidanza. Nel 2022 il pronipote di Antonietta, Giuseppe Reina, ha pubblicato il libro “Io sono Antonietta” che ripercorre il mistero tutt’ora irrisolto.

Il corpo senza testa di Antonietta Longo riposa nella cappella San Vito e San Nicola di Bari, nel cimitero di Mascalucia. Il suo orologio marca Zeus e gli altri oggetti rinvenuti sono esposti al Museo Criminologico di Roma.

Sulle sponde del lago Albano non c’è nessuna targa a commemorarla.

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