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Mentre Morivo puntata #3 Nada Cella

Nada Cella ha 24 anni quando viene colta dal suo aggressore, alle spalle, senza opporre resistenza, con l’incredulità passiva che solo la morte sa regalare. Il tutto è avvenuto nello studio dove lavorava: qualche testimone, un solo condominio in cui indagare… un delitto semplice, se non fosse che la scena del delitto è stata ripulita da cima a fondo e non è rimasto nulla da analizzare.

Mentre Morivo è un Podcast di storie di donne uccise e lasciate senza giustizia. Scritto e interpretato da Marica Esposito, edit di Stefano DM.

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AGGIORNAMENTO AL 4 NOVEMBRE 2021:
Dopo 25 anni finalmente una svolta nel caso: oggi è stata resa pubblica l’iscrizione nel registro degli indagati di Annalucia Cecere, all’epoca quasi coetanea di Nada e accusata al momento di omicidio volontario. Nell’inchiesta anche Soracco – il datore di lavoro della vittima – e la madre dello stesso, entrambi per falsa testimonianza. All’epoca Annalucia Cecere venne già sospettata ma il suo nome non trapelò mai perché le accuse a suo carico furono subito archiviate. Chiavari è una cittadina di circa 20mila abitanti e qualche testimone si fece in realtà avanti: qualcuno disse di averla vista intorno al luogo del delitto molto presto al mattino, poi si trasferì in un paesino del nord e tutto tacque. A quanto pare la donna sarebbe stata innamorata di Marco Soracco ma respinta aveva visto in Nada una temibile rivale, si sarebbe quindi presentata in ufficio diverse volte prima di commettere il delitto, una mattina di maggio del 1996. A riaprire le indagini il prezioso contributo della genetista e criminologa Antonella Pesce Delfino, incaricata dalla madre di Nada Cella di cercare nuovi indizi, indizi che ora saranno analizzati per la Procura dal professor Emiliano Giardini (già presente nella ricerca di Ignoto 1 nel caso Gambirasio). Il magistrato Gabriella Dotto riaprendo il caso nel maggio di quest’anno ha reputato degni di nota i profili genetici femminili e maschili trovati sulla scena del crimine, ma anche un’impronta papillare e il famoso bottone mai associato a una proprietaria. In attesa di sviluppi vi rimandiamo alla puntata del podcast Mentre Morivo che riassume la vicenda.
(fonte: Huffpost)

Trascrizione del Podcast:

Il 27 luglio 1999 è un giorno caldo come tanti altri, nell’estate della Liguria. A Chiavari, una città che si distende tra mare e montagna a pochi chilometri da Genova, un uomo fa ritorno dal cimitero. E’ stato a trovare sua figlia, uccisa qualche anno prima… la vicenda processuale l’ha distrutto, la mancanza della figlia è un dolore troppo grande. Viene stroncato da un infarto mentre è in auto e verrà ritrovato solo qualche giorno dopo, morto solo come la sua Nada. Quel papà si chiamava Bruno Cella.

Nada è una ragazza di 24 anni, i capelli lunghi e scuri sempre scompigliati, il sorriso travolgente di chi ride anche con gli occhi, una sorella ormai sposata con cui scambiarsi confidenze, la mamma che vive con lei in un bell’appartamento, il papà che lavora poco distante ma che raggiungono tutti per il weekend. Ama viaggiare, sogna di andare in Grecia la prossima estate, premio di un anno lavorativo intenso. Forse fa il conto alla rovescia sulla sua Smemoranda dove appunta tutto, intanto studia l’inglese, sogna in grande mentre tutti i giorni va a lavorare da un commercialista ormai da 5 anni: è la sua segretaria ligia e rigorosa, ordinata e fin troppo dedita.

Anche il 6 maggio 1996 inizia allo stesso modo, è lunedì e le cose da fare si susseguono. La mamma ha fatto tardi per il lavoro ma Nada non si scompone, è già sveglia. La accompagna alla scuola dove lavora come bidella e poi ritorna a casa con l’auto, fa colazione e puntuale si avvia con la bici rossa nell’ufficio di Via Marsala al civico 14. E’ un condominio abitato da professionisti, persone anziane, famiglie tranquille e qualche ufficio, come quello di Marco Soracco, il commercialista che vive qualche porta più in su. Sono le 8:35, la vede Luciana Signorini, una condomina con problemi psichici che le dà il buongiorno. Nada apre le tapparelle, sistema qualcosa nell’ufficio, accende il computer e fa partire qualche stampa, si appresta a mettersi al lavoro.

“Qui non si sbattono le porte per principio”, dirà poi un inquilino intervistato più tardi, tutto si muove veloce ma silenzioso in un alveare di operatività, tanto più che è appena iniziata una nuova settimana.

Eppure quel giorno qualche rumore strano c’è, perché alle 9:01 la signora Egle, la madre di Luciana, sente un tonfo forte, il cane che abbia, passi per l’androne. Occhieggia dallo spioncino un po’ stizzita da quei rumori inusuali, ma non nota nulla. Dieci minuti dopo, di nuovo rumori, Marco Soracco apre le porte dell’ufficio, suona il telefono.

Uno squillo, due, tre. Si chiede perché Nada non risponda, di sicuro è in ufficio visto che le imposte sono aperte. Quando arriva nello studiolo della ragazza la trova distesa in terra rantolante in preda a delle convulsioni, il sangue è dappertutto ma forse dallo shock non lo vede, perché di primo acchito pensa a un ictus e a una caduta accidentale, chiama i soccorsi.

Tra i primi a entrare è un amico di Nada, operatore della croce verde, la riconosce subito, Nada è tra la scrivania e il muro e devono spostare un po’ di mobili per prenderla. Vede il cranio sfondato e capisce subito che non è caduta, né un malore. La corsa in ambulanza è folle, mentre la signora Bacchioni, che vive al piano di sopra insieme al figlio commercialista, è già col secchio in mano a ripulire scale e luogo del delitto. Quando arriva la polizia c’è solo un vociare di inciuci, chi parla di una caduta, chi di un malore, la candeggina ha lavato tutto e rimane solo la risposta di nuda incredulità della signora: “Mica pensavo si trattasse di omicidio.”

Nada viene sottoposta a diversi interventi che però non le salvano la vita: l’assassino l’ha colta da dietro probabilmente alla sprovvista perché non ha apposto alcuna resistenza, è svenuta dopo il primo colpo infertole con un corpo contundente, probabilmente la base di un trofeo. Le ha preso la testa e l’ha sbattuta ripetutamente contro una superficie liscia, forse il pavimento e non si è fermato finché la testa non le si è schiacciata. Poi ancora colpi, sul pube ci sono i segni di un’arma appuntita. Una foga inspiegabile derivata da qualcuno che Nada conosceva o da cui non si aspettava una simile reazione.

Sono le 15 di quello stesso giorno quando viene dichiarata morta. I medici hanno rischiato il tutto per tutto e nel tentativo di salvarla, molte prove che il suo corpo poteva conservare, sono andate perse. Gli investigatori si fiondano quindi nell’ufficio, unico luogo dove poter indagare. Trovano tutto tirato a lucido o quasi, la polizia è intervenuta troppo tardi a fermare la signora, mettono i sigilli e come prevedibile il primo sospettato è proprio il figlio: Marco Soracco.

E’ un uomo di 34 anni, all’apparenza cordiale, sicuramente molto riservato. E’ laureato in economia e commercio e da sempre scapolo, fervente cattolico. Da quando il padre, direttore del dazio e responsabile dell’ufficio anagrafe di Chiavari è morto, è rimasto a vivere insieme alla madre e alla zia dirimpettaia proprio sopra lo studio commercialistico avviato con successo.

La mattina dell’omicidio è sceso con qualche minuto di ritardo rispetto al solito, ha notato le luci accese pensando ci fosse un cliente, poi si è insospettito quando il telefono ha cominciato a squillare a vuoto. Quando trova Nada però non chiama i soccorsi con il telefono dell’ufficio, va di sopra e avvisa anche la madre, prima di telefonare al 113. Agli inquirenti sembra strano, lo torchiano per ore e ore, anche perché non ci sono segni di scasso, Nada non ha lottato, dall’ufficio non è stato rubato nulla.

In questa storia ci sono tanti orari, fossilizzati nella memoria dei testimoni, la polizia non fa fatica a delineare la tempistica dell’aggressione: Luciana vede Nada alle 8:35, contemporaneamente le donne delle pulizie si mettono a lavoro per pulire l’androne. Il condominio è quindi aperto e chiunque sarebbe potuto entrare ma non senza essere visto. Alle 8:50 il computer di Nada registra che dei documenti vengono stampati. Tra le 8:45 e le 9:00 chiamano tre clienti, l’ultimo sostiene di aver parlato con una donna anziana che in modo sgarbato gli ha detto di aver sbagliato numero. Lui lo controlla, lo rifà, stessa voce. Se alle 9:01 c’è stato un tonfo improvviso e inusuale e alle 9:10 Soracco ha scoperto il corpo, allora tutto dev’essere avvenuto in tempi risicatissimi… e poi, come ha fatto l’assassino ad uscire, presumibilmente sporco di sangue e con al seguito un’arma del delitto ingombrante come una mazza o un trofeo, senza essere visto?

Chi indaga si convince che in realtà, da quel condominio l’assassino non è mai uscito.

Perquisiscono la casa di Luciana e Egle Signorini, testimoni chiave: trovano un asciugamano sporco di sangue, una dice che è del cane che si è sentito male, l’altra che il marito dev’essersi tagliato facendosi la barba. Anche se con molti sospetti, alla fine si scoprirà che quel sangue non è di Nada.

Marco Soracco, nel frattempo, continua ad essere interrogato, così come la madre. Quest’ultima dirà che solo il sabato prima aveva visto Nada in ufficio in un orario inusuale. Di solito il weekend va a trovare il padre, ma quel sabato era invece intenta a togliere un misterioso floppy disk dal computer. Si era scusata di essere passata allo studio nel giorno di chiusura, ma doveva proprio sbrigare la pratica per un cliente su cui aveva dei dubbi e infatti telefona davanti all’anziana al figlio. Lui conferma, però ripete che quel quesito, Nada, gliel’aveva già posto e di persona. Sul floppy disk, non ci sono tracce, né nella borsa di Nada né nel computer che non registra un movimento di dati.

Certo è, che la foga dei colpi, nasconde una rabbia furiosa: forse Marco Soracco era innamorato di Nada e lei non lo ricambiava? Il commercialista non racconta di una grande confidenza con la ragazza, d’altronde era il suo capo, entrambi timidi, entrambi professionali. In realtà Nada di lui scriveva sulla sua Smemoranda frasi di esasperazione, lo definiva un “cretino da sopportare” e non vedeva l’ora di poter cambiare lavoro. La sorella la ricorda spesso in lacrime, nell’ultimo periodo.

Quando il 12 maggio 1996 Marco Soracco viene iscritto ufficialmente nel registro degli indagati, vengono rese note altre due testimonianze: il 6 maggio precedente, il giorno in cui Nada è morta, anche la signora Lavagna sente un tonfo insolito e poi dei passi per la scale, passi familiari, li riconduce a Marco Soracco. La signora Simonini, un’altra vicina, poco prima delle 9 vede invece il commercialista che entra nello studio, ne è sicura. Entrambe le accuse si arenano, gli inquirenti non hanno in mano nulla: né un movente, né l’arma del delitto, sulla scena del crimine solo un bottone di quelli delle vecchie giacche di jeans da donna, un anellino che i genitori sostengono non appartenesse a Nada, tre capelli, pochissimo sangue da analizzare.

Nel ’98 il caso viene archiviato, non c’è nessun colpevole.

Dopo la morte di Bruno Cella, la mamma di Nada, Silvana, non si arrende, continua a richiedere la riapertura del caso, che in effetti viene rianalizzato nei primi anni del 2000, poi di nuovo nel 2011, parlando di una parziale impronta digitale insanguinata rilevata sulla scena. Nel 2017, invece, è stato fatto noto che su quell’impronta si starebbe lavorando grazie a un sistema automatizzato d’identificazione delle impronte, un software dell’FBI che potrebbe portare a una svolta nel caso.

Nada aveva 24 anni quando è morta. Lo scorso maggio sono trascorsi 24 anni da quando è stata uccisa. 24 anni in attesa di giustizia.

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