“…mio padre era solito dire che la ragione per vivere era essere pronti a restar morti molto a lungo”. Questo fa dire alla protagonista William Faulkner, nel suo romanzo “Mentre Morivo”. Le storie di questo podcast – contrariamente al titolo – non sono letteratura. Sono le vite rumorose, colorate, scompigliate, ordinarie e straordinarie di tante donne. Donne uccise a cui non è stata fatta giustizia, almeno fino ad oggi. Ve le racconto io, Marica Esposito, in questa terza stagione, con l’editing di Stefano DM, in collaborazione con Spreaker Prime.
MENTRE MORIVO è un podcast scritto e narrato da Marica Esposito con l’editing di Stefano DM.
Trascrizione del Podcast
Quanti all’ascolto possono dire di essere esperti di armi? Forse pochi, eppure quando si sente citare la Beretta calibro 22 log-rifle è impossibile non accendere, nella mente di moltissimi, una lampadina: è la pistola che quarant’anni fa ha scatenato il terrore in Italia, e in particolare nella provincia di Firenze. Quello del Mostro di Firenze è una storia complicata, che inizia con l’uccisione di innocenti coppiette, e continua con rituali macabri, asportazioni del pube o del seno e modus operandi che via via si fa più preciso ed efferato. Ma è anche una vicenda tutta italiana che si dirama in tanti ambiti diversi, perfino quella massonica o magico-esoterica, e che rese necessaria l’istituzione di una squadra di professionisti riuniti nel provare a ricostruire i pezzi di un puzzle nero e dai contorni sfumati: la SAM, Squadra anti-mostro. Chi ha davvero ucciso le 8 coppie di innamorati, durante le notti fiorentine tra il ’74 e l’85 non è mai stato individuato davvero, ma nel corso dele indagini i sospettati e le teorie messe in campo furono moltissime, tanto che alla fine gli omicidi reali si confusero anche con altro, malavita, droga, prostituzione… un pout pourri di nefandezze che ha imbrogliato la matassa, per volere di qualcuno, o forse in modo del tutto involontario. I misteri intorno al Mostro di Firenze non si limitano ai delitti principali, ma sembrano allungarsi a tutta la Toscana, in una scia di sangue e verità nascoste ancora indecifrabili: depistaggi, lettere minatorie, apparenti suicidi di testimoni scomodi e perfino la morte degli indagati. Le cosiddette “morti collaterali” del mostro – poi – sembrano tante, eppure nessuna, perché appaiono tutte collegate da un filo troppo invisibile per essere colto: come l’omicidio di Milva Malatesta.
Sono le 4 e 30 del mattino, tra il 18 e il 19 agosto del 1993, è un’ora insolita per appiccare fuoco alle sterpaglie, per questo quando un gruppo di ragazzi arriva nella strada tutta curve della zona Poneta a Barberino Val d’Elsa e vede il fumo che lambisce le colline, non ci pensa due volte ad avvicinarsi: è la tipica campagna toscana, a una manciata di chilometri da Firenze, la zona che la SAM aveva tappezzato di volantini con sopra disegnato un occhio e il divieto per i giovani di appartarsi. Alla fine di un piccolo dirupo c’è una panda rovesciata e quasi completamente carbonizzata, all’interno i resti di una donna e di un corpicino, quasi si fa fatica a vederlo tra i sedili posteriori. Passano poche ore, in tarda mattina il telegiornale già annuncia la notizia: in quell’auto c’erano Milva e Mirko, suo figlio di neanche tre anni.
Milva è nata nel 1962 e non si può dire abbia avuto vita facile. È figlia di Renato Malatesta e Maria Antonietta Sperduto: il padre viene trovato impiccato il 24 dicembre 1980 e per sbarcare il lunario lei inizia molto presto a fare la sex worker. Poi a 17 anni rimane incinta di Vincenzo Limongi, il figlio viene dato in affidamento ai genitori di lui e dopo poco i due si lasciano, la sorte che li attende di lì a poco è terribile: Vincenzo verrà trovato impiccato in carcere nel 1990, la vita di Milva verrà invece spezzata a soli 31 anni.
Quando gli investigatori raggiungono il posto le fiamme hanno già divorato tutto, eppure sulla strada rimane una larga chiazza di benzina e una tanica da cinque litri vuota, senza il tappo e sporca di sangue. L’autopsia rivela che Milva è stata probabilmente strangolata, ed era già morta al momento dell’incendio, mentre una sorte ancora più crudele è toccata al figlio, che forse dormiva sui sedili posteriori. La donna si era sposata nel 1988 con Francesco Rubino, un muratore originario di Palermo e il 30 agosto 1990 era nato Mirko: il matrimonio era però costellato di liti e maltrattamenti, Milva aveva denunciato puntualmente Francesco e alla fine si erano separati pochi mesi prima della sua morte.
Quella sera, però, la donna non aveva appuntamento con lui, ma con un altro uomo con cui aveva intrecciato da qualche settimana una relazione: Nicola Fanetti, un artigiano restauratore, suo coetaneo con cui doveva vedersi nello spiazzo di una pompa di benzina. La serata di Milva procede tranquilla, una vicina la vede intorno alle 21, scambiano qualche parola, dice che avrebbe cenato di lì a poco, poi dopo le 22 mette in moto la Panda e parte. È l’ultima volta che viene vista viva. Francesco Rubino si presenta spontaneamente in caserma per testimoniare il pomeriggio seguente, Nicola viene invece raggiunto a casa dagli investigatori: quando apre la porta ha il braccio destro fasciato, vengono sentiti entrambi per ore.
La sera del 18 agosto, dice Fanetti, non è riuscito a vedersi con Milva perché ha avuto un incidente con il suo furgoncino ape, lo stesso incidente che gli ha provocato una lunga ferita al braccio: sulla strada aveva incontrato una coppia che si era proposta di accompagnarlo in ospedale dove si era fatto medicare, poi con il padre era andato al policlinico su consiglio dei medici e infine era tornato a casa dopo l’1 per andare a dormire. I referti confermano, ma perché non si è preoccupato di avvertire Milva del mancato incontro? Quando un giornalista lo intervista lui sembra distaccato: “Sì, mi dispiace, ma non sono disperato: ci vuole tempo per affezionarsi a una donna e io la conoscevo solo da venti giorni”.
Sembra tuttavia un caso semplice, la polizia è sicura di inchiodare in poche ore uno dei due uomini e chiudere l’inchiesta, ma la storia prende velocemente una piega inaspettata e Milva comincia ad essere annoverata tra le decine di vittime collaterali del Mostro di Firenze. Mentre indagano nella sua vita, i criminologi si rendono subito conto di molte coincidenze: intanto i suoi genitori conoscevano bene Pietro Pacciani e i suoi amici, i famigerati “compagni di merende”, Mario Vanni e Giancarlo Lotti, tanto che la madre li aveva denunciati per violenza sessuale su di sé e maltrattamenti ai danni del marito, che addirittura ipotizza sia stato fatto fuori prima di inscenare un suicidio. Non solo, Pacciani si trovava nello stesso reparto del carcere durante la detenzione dell’ex compagno di Milva Vincenzo Limongi, all’epoca Pacciani non era indagato per i delitti del Mostro, ma stava comunque scontando una condanna per aver abusato delle figlie.
I collegamenti tra Milva e il Mostro di Firenze si fanno più evidenti quando si scopre che solo 12 giorni prima della sua morte anche Francesco Vinci viene ucciso in modo abbastanza similare: l’uomo, condannato per diversi omicidi e sospettato all’inizio di essere addirittura lui stesso il Mostro, viene ritrovato carbonizzato insieme all’amico Angelo Vargiu nel bagagliaio di un auto lanciata in una scarpata. Francesco Vinci e Milva Malatesta si erano frequentati per qualche mese, tra il 1982 e il 1983 ed entrambe le loro morti avvengono a pochi mesi dall’inizio del processo a Pacciani, un evento mediatico che fece scalpore e alimentò ancora più dubbi sulla vicenza, anziché dissiparli. Lo stesso Pietro Pacciani morì in casa alla vigilia del secondo processo d’appello.
Alle 3 del pomeriggio del 1 novembre 1993, Francesco Rubino, che all’epoca ha 26 anni, viene prelevato da casa dei suoi genitori e portato nel carcere di Sollicciano. Sono due gli indizi principali a suo carico: per un testimone la tanica ritrovata sul luogo del delitto è la stessa che Rubino utilizza per mettere benzina al suo motorino, e per la madre di Milva non ci sono dubbi, aveva minacciato la figlia solo qualche giorno prima con un coltello. Il gip Maurizio Barbarisi firma la richiesta di custodia cautelare, per polizia e carabinieri i due ex coniugi hanno litigato tra le 23 e l’una di notte, proprio mentre Milva andava all’appuntamento con un altro uomo, così preso dalla gelosia Rubino ha prima ucciso lei e tramortito il figlio e poi è tornato sulla scena per dare fuoco all’auto. Eppure, secondo un testimone, il fuoco è stato appiccato sicuramente dopo le 3, perché quella notte è passato diverse volte a Via Poneta e non ha scorto nulla di anomalo. Francesco Rubino affronta i tre gradi di giudizio e viene dichiarato innocente. L’omicidio diventa un caso freddo, nessuna pista, nessun colpevole.
Nel 2021 succede qualcosa: si riapre un fascicolo di un’altra morte rimasta irrisolta, quella di Alessandra Vanni, di 29 anni. Il 9 agosto del 1997 a Siena fa un gran caldo, si dorme poco, perché il palio sarà disputato a breve e tra le contrade c’è come al solito fermento. Alessandra sale a bordo del taxi dello zio Onofrio, il Siena 22, un’Alfa Romeo bianca. Non è lei la titolare della licenza ma si sta facendo le ossa per diventare una tassista a tutti gli effetti, insieme a lei quella notte è di servizio anche il fidanzato Stefano, con il suo taxi. La scatola nera del Siena 22 comincia a scorrere poco dopo le dieci, va alla stazione, carica due paracadutisti e li riporta in caserma. Fa qualche altro giro, accompagna una famiglia inglese e alle 23:07 fa salire degli studenti. I colleghi la vedono viva alle 23:18, poi si separano di nuovo. Alessandra imposta la tariffa extraurbana: qualcuno è salito e ha chiesto di essere portato fuori città, direzione Castellina in Chianti. È quasi mezzanotte. Il fidanzato e la famiglia proveranno tutta la notte a mettersi in contatto con la ragazza, ma sembra sparita nel nulla.
L’Alfa Romeo viene trovata solo alle 6 del mattino, da un pensionato che sta portando dei materassi in discarica: l’uomo vede un taxi fermo in uno spiazzale abbandonato, dietro il cimitero, che strano che l’autista stia dormendo proprio lì. Solo che Alessandra non dorme, è morta: è stata strangolata e ha le mani legate dietro al sedile, con l’autopsia si saprà che è avvenuto tutto tra l’1 e le 3 della notte precedente e che il corpo è stato sistemato in quella posizione post-mortem. Facile pensare a una rapina finita male, l’incasso della serata non si trova, ma perché l’assassino ha perso tempo a immobilizzarla quando era già morta? Se è solo un balordo in cerca di soldi, perché non se l’è data a gambe, invece di rischiare di essere visto? Nei mesi successivi vengono indagati sia l’ex marito che l’attuale fidanzato, ma non si trovano ombre nella vita di Alessandra, apparentemente nessuno le voleva male, tanto da essere presa così di sorpresa da non aver avuto il tempo di azionare il pulsante di emergenza montato sul taxi.
Il caso si chiude e si riapre diverse volte, fino – appunto – al 2021. Tra i faldoni esaminati qualcuno nota un nome familiare, è quello di Nicola Fanetti, l’uomo con cui doveva vedersi Milva Malatesta prima di morire. È una coincidenza strana, perché il terreno vicino cui è stato ritrovato il taxi appartiene a lui, e allora si confronta il suo DNA con quello trovato sotto le unghie di Alessandra: per tutti sono settimane interminabili ma alla fine no, i rilievi non sembrano combaciare, eppure vale la pena di andare a rileggere le carte del caso Malatesta.
L’uomo era uscito molto velocemente da quelle indagini, ma sul luogo dell’incidente del furgoncino ape era stato ritrovato da un carabiniere il tappo di una tanica, verosimilmente quella che poteva essere stata usata per appiccare il fuoco. Non solo, sull’asfalto c’erano i pezzi di una carrozzeria molto simile a quella della Panda di Milva, che sembrava essersi scontrata con il fanalino dell’apecar, ma all’epoca non era stato possibile confrontare i materiali perché l’incendio aveva portato via ogni traccia… A questo punto non resta che togliersi l’ultimo dubbio: analizzare la tanica e con le recenti tecnologie provare a cercare un match con il DNA di Fanetti. Dopo così tanti anni, però, gli oggetti repertati sono già stati distrutti e sulla morte di Milva e di suo figlio Mirko cala di nuovo il silenzio.
Sembra che a un certo punto, in Toscana, qualsiasi delitto avesse come capro espiatorio, pronto ad essere evocato il mostro di Firenze, insieme a lui immancabili festini, loggie massoniche, una cosiddetta “pista sarda” e perfino i riti satanici e un mago indovino: se Milva avesse visto o saputo qualcosa, se fosse diventata una testimone scomoda o se invece fosse finita in un giro diverso, per colpa della povertà o del degrado di una vita costellata di violenze, sembra ora impossibile scoprirlo.
Quella Beretta calibro 22 long-rifle che sparava proiettili marca Winchester è stata cercata a lungo in tutta Italia. Non è mai stata ritrovata.
Mentre Morivo – storie misteriose di donne uccise, è un podcast Spreaker Prime di Marica Esposito, con l’editing di Stefano DM. Fonti e trascrizioni sono sul sito italiapodcast.it . Segui il podcast su Instagram e lascia una recensione sulla tua app di ascolto preferita. Se non ne hai ancora abbastanza di crimini, continua l’ascolto con NAP: Non un altro podcast true crime.
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