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Mentre Morivo puntata #24 – La Morte di Ketty Skerl

Roma sembra essere da sempre il cuore pulsante dell’Italia: la città eterna, la Capitale moderna, la casa dei Papi e della Chiesa cattolica ma anche un luogo oscuro dove serpeggia il crimine, dove il mistero si fa sempre più buio e silenzioso e dove i segreti, spesso, rimangono tali. Questa storia si svolge proprio qui, tra le strade antiche e i monumenti trionfali, è una storia che ne incrocia altre e che alla fine non porta da nessuna parte: chi ha ucciso Catherine Skerl?

MENTRE MORIVO è un podcast scritto e narrato da Marica Esposito con l’editing di Stefano DM.

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Trascrizione del Podcast

Quando Ketty sparisce i giornali sono già impegnatissimi a seguire le ricerche di altre due ragazze: sono passati sette mesi dalla sparizione di Emanuela Orlandi e otto da quella di Mirella Gregori, anche loro adolescenti romane. Catherine, che per amici e parenti era semplicemente Ketty, nel 1984 è una diciassettenne che frequenta il liceo artistico Giulio Romano, è un’anticonformista per natura, figlia di un regista svizzero che era stato perfino l’assistente di Ingrid Bergman e di una mamma bibliotecaria amante dell’arte. Anche Ketty sogna di fare l’artista, ma è anche e soprattutto un’attivista politica: è iscritta alla federazione dei giovani comunisti italiani, è una femminista determinata, bionda e alta poco più di un metro e cinquanta.
Quando partecipa alle manifestazioni di piazza urla, alza il pugno al cielo e sa che bisogna far sentire sempre la propria voce, sul diario scrive “la rivoluzione è donna”.

Alle 18:30 di sabato 21 gennaio 1984 Ketty è a una festa a casa di una compagna di scuola, saluta tutti e si incammina tra largo Bacone e Via Cartesio per raggiungere la sua amica Angela alle 19:45. Ha con sé un borsone in tela, non le servono molte cose, solo il pigiama e un cambio più pesante. Il piano del weekend è denso di cose da fare, avrebbe dormito dall’amica nel quartiere Tuscolano e poi, di domenica, sarebbero andate insieme a sciare sul Terminillo. Ketty non arriva però all’appuntamento e dopo mezz’ora di inutile attesa Angela chiama a casa sua, dove trova però solo il fratello Alexander. Le amiche avevano deciso di incontrarsi alla fermata della metro Lucio Sestio, eppure la festa è da tutt’altra parte. Individuare il luogo da cui Ketty è sparita sembra un’impresa impossibile. Quando saluta gli amici deve essersi diretta alla fermata Atac di Via Nomentana, a quattrocento metri, l’autobus l’avrebbe portata a Piazza Sempione e da lì doveva cambiare quindi per la Stazione Termini. Infine, salita sulla metro A, undici fermate la dividevano dalla fermata dell’appuntamento.

Non serve cercare a lungo, perché nonostante le preghiere e le speranze di ritrovarla viva, il suo corpo viene scoperto da un contadino la mattina del 22 gennaio. Fa freddo tra le vigne di Grottaferrata, la campagna a sud di Roma. C’è un po’ di nebbia, il respiro riempie di nuvole calde l’aria e la rugiada quasi si trasforma in ghiaccio. Eppure, l’uomo la vede, e quella diventa davvero un mattino di grigia foschia, come cantano i Pooh nella canzone che porta, per puro caso, il suo nome. Ketty è sdraiata a pancia in giù e ha il viso spinto nel fango, è stata strangolata da un fil di ferro arrugginito e dalla cinghia del suo borsone, ha la gabbia toracica spezzata, probabilmente per la compressione di chi l’ha tenuta schiacciata al suolo con un ginocchio. L’autopsia, in seguito, stabilirà che non ha subìto violenza e che l’orario presunto della morte si attesta tra le 22 e l’una del giorno precedente al ritrovamento.

Le domande che da subito attanagliano gli inquirenti sono tanti: com’è arrivata lì, in un posto impervio e raggiungibile solo in auto? Per quale motivo è stata uccisa, da chi, e soprattutto, perché non ha più con sé i biglietti dei mezzi che aveva organizzato di prendere quel giorno?

Il collegamento con Emanuela Orlandi, sparita da Città del Vaticano il 22 giugno 1983 e con Mirella Gregori, scomparsa il 7 maggio dello stesso anno proprio da casa sua, viene scartata quasi subìto: in primis perché tra le giovani sembrano non esserci conoscenze o ambienti comuni, ma soprattutto perché nel caso delle due ragazze da subìto arrivano alle famiglie delle telefonate inquietanti da parte presunti rapitori, quello di Ketty, invece, non sembra un rapimento. Eppure, anche se in questo momento gli investigatori non collegano i casi, dopo qualche decennio verranno alla luce indizi misteriosi collegati a un uomo, alla malavita capitolina e anche alla Chiesa.

Nel 1984, invece, viene subìto arrestato il presunto serial killer e ci si illude che Ketty possa ottenere giustizia: si tratta di Maurizio Giugliano, soprannominato poi, “il lupo dell’agro romano”.
Il ragazzo ha 22 anni e già da tempo mostra in casa segni di squilibrio, quando litiga con la compagna e con la madre le minaccia sovente di far far loro la stessa fine delle donne di cui leggono sul giornale. Parla forse di tre sex workers, Thea Stroppa (51 anni), Luciana Luci (45) e Lucia Rosa (33) tutte uccise accoltellate e abbandonate nella campagna romana. È proprio la madre di Giugliano a denunciarlo alla polizia e dopo l’ultimo atto di follia, ossia l’aver dato fuoco all’appartamento della suocera, viene arrestato e accusato di altri tre omicidi: quello di Giuliana Meschi, 31 anni e impiegata comunale, quello di Fernanda Durante, 53 anni, pittrice e infine, proprio quello di Catherine Skerl.

Le prove, a dirla tutta, sembrano non essere tante, se non che un testimone dice di aver avvistato Ketty salire a bordo di una vespa, l’ultima sera in cui è stata vista viva. Giugliano ha una vespa e spesso porta con sé anche un coltello. Eppure le sole accuse delle donne a lui più vicine non bastano e seppur attestato un vizio parziale di mente l’uomo viene condannato a 17 anni e otto mesi di carcere per Thea Stroppa e Giulia Meschi, ma entra ed esce anche dagli ospedali psichiatrici. È proprio lì che nel 1990 soffoca il compagno di stanza per avergli negato una sigaretta e alla fine muore nel 1994 per un attacco di cuore, lasciando dietro di sé ancora molti dubbi e incertezze.

Se non è stato Giugliano, quindi, chi ha ucciso Ketty? Per un po’ viene analizzata la pista dell’estrema destra. Solo cinque mesi prima della sua sparizione, davanti al palazzo dove abitava era comparsa una scritta a spray nero che sentenziava: “Uccidetela”. Ketty aveva confessato a qualche amico di aver paura, pensava che quella minaccia fosse rivolta proprio a lei. I primi anni ’80 sono ancora un periodo di feroce tumulto politico e le lotte neri contro rossi, comunisti contro fascisti, non si limitavano a qualche battuta nei dibattiti in tv ma finivano in veri e proprio accoltellamenti o gambizzazioni. La stessa Ketty era stata ferita da un coltello durante una manifestazione e in particolare litigava spesso con un gruppo di neofascisti che si facevano chiamare “Il panico”, famosi per la prestanza fisica e l’estrema violenza. In effetti la dinamica dell’omicidio sembra ricalcare quella della vendetta e il killer non doveva essere uno sprovveduto. La giovane è stata uccisa in una vigna alla fine di una strada a fondo chiuso e con intorno tante viuzze buie e intricate, allora come oggi è difficile orientarsi soprattutto con la pioggia e il freddo. Secondo gli inquirenti Ketty avrebbe accettato un passaggio da qualcuno che conosceva o di cui all’apparenza pensava di potersi fidare, giunti in campagna, però, è successo qualcosa su cui ancora oggi è avvolto il mistero: forse un litigio, perché lei deve aver cercato di fuggire e infatti dà le spalle all’assassino. Viene quindi rincorsa, ripresa dai capelli e tramortita alla testa, prima di essere finita. Qualcuno, sicuramente agile e prestante, voleva metterla a tacere per qualcosa che aveva visto o fatto?

Eppure, abbandonata questa pista, tutto tace fino al 2014.

“Era l’anno 1980-81, io frequentavo come Ketty la IB, e con noi c’era anche Snejna Vassilev, la figlia del funzionario dell’ambasciata finito sotto processo come complice di Ali Agca”. Questa lettera arriva alla redazione de Il Corriere della Sera e, all’improvviso, accende di nuovo le luci sul caso dell’omicidio della ragazza. A scriverla sembra essere una compagna di scuola di Ketty ed è lei a fare i primi collegamenti con i casi Orlandi-Gregori. Nel 1984 a rivendicare il rapimento delle due quindicenni romane era stato proprio un misterioso telefonista che diceva di chiamare per conto de I lupi grigi, un’organizzazione turca di cui faceva parte proprio Ali Agca, l’uomo che aveva cercato di assassinare Giovanni Paolo II nel’81 e che, tramite il rapimento di giovani ragazze, tentavano di ricattare la Chiesa per ottenere il rilascio del terrorista. La donna che scrive al quotidiano sottolinea che non può essere un caso e che forse, frequentando la figlia di un così alto funzionario, forse Ketty aveva visto o sentito qualcosa di troppo. Eppure la pista dei Lupi Grigi era stata già abbandonata a suo tempo a favore di qualcosa di ancora più oscuro, come apparenti intrighi all’interno del Vaticano tra la Banda della Magliana e gli alti prelati. Secondo Antonio Mancini, un pentito, e Sabrina Minardi, ex amante del boss Renatino de Pedis, lo Ior – uno degli istituti bancari del Vaticano – riciclava i soldi sporchi della mafia siciliana, e quando questi si sono accorti di un grosso ammanco hanno iniziato a rapire delle ragazzine per lanciare un messaggio chiaro: ridateci i soldi, se non volete che scoppi lo scandalo. Anche questa pista è stata però più volte ripresa e poi scartata, senza venirne mai davvero a capo.

A scavare in fondo alla questione Orlandi e Gregori si finisce in un buco nero senza fondo, fatto di intrighi, detti e non detti, e un fiume di soldi che sembra voler lavare via una scia di sangue senza fine perché forse né Emanuela, né Mirella furono rapite per ottenere un riscatto, piuttosto fatte sparire… perché e per mano di chi ancora non ci è dato sapere. Eppure, Ketty cosa c’entra in tutto questo? Secondo Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, niente, e ci tiene a ribadire che accomunare queste scomparse serva solo a depistare e alimentare l’ego di certi personaggi.

Infatti un torna continuamente. È quello di Marco Accetti, fotografo romano oggi sessantaseienne. Nel 2013 l’uomo si presenta in questura per confessare di essere uno dei responsabili e il principale telefonista nei casi Orlandi-Gregori: dice infatti di aver telefonato lui alle famiglie cercando di indirizzare i riscatti. Non solo, fa mettere a verbale diverse nuove informazioni su altri casi rimasti irrisolti, dalla morte di Paola Diener alla scomparsa della ventunenne Alessia Rosati, che abitava a pochi metri da casa sua. Anche se non viene ritenuto attendibile e anzi, la procura lo accusa di calunnia ed autocalunnia, l’uomo sembra sapere piccoli dettagli su tantissimi misteri romani. Forse è un mitomane, eppure nel documentario Netflix The Vatican Girl viene confermato che almeno una delle voci dei rapitori appartiene proprio a lui: mitomane o pesce piccolo in un’organizzazione più grande?

Fatto sta che l’uomo, un mese prima dell’omicidio di Ketty Skerl, si era macchiato di certo di una morte: quella del piccolo José Garramon. Il bambino di 12 anni, figlio di un alto funzionario delle Nazioni Unite, era stato trovato morto in una pineta di Roma il 20 dicembre 1983. Dopo le indagini era venuto fuori che un furgone l’aveva investito e che al volante c’era proprio Marco Accetti, condannato per omicidio preterintenzionale a 2 anni e 2 mesi. Non è stato mai chiarito come il bambino fosse arrivato in quella pineta, distante 20 chilometri dal barbiere dove era stato visto vivo l’ultima volta, tanto da far sospettare ad alcuni di essere stato prima rapito, e poi, dopo aver tentato la fuga, investito. Marco Accetti rigetta queste accuse e nel 2015 segna l’ultimo, incredibile colpo di scena di questo puzzle sbiadito e troppo grande, che sembra avere perfino dei pezzi mancanti.

L’8 settembre 2015 l’uomo scrive sul suo blog qualcosa di così assurdo che ci sono voluti 7 anni prima che qualcuno si decidesse a controllare: “La tomba di Ketty è vuota”. Qualcuno, entrando di notte nel cimitero del Verano – scrive – forse fingendo un lavoro di riesumazione, ha caricato la bara su un furgone ed è uscito indisturbato dall’entrata costantemente vigilata. Nel luglio 2022, dopo il via libera del magistrato, la lastra del loculo è stata aperta e all’interno è stata ritrovata solo una maniglia di ottone raffigurante un angelo. Intrigo politico, vendetta trasversale, serial killer, o banda criminale: oggi, dopo 38 anni non sappiamo ancora chi ha ucciso Ketty Skerl, né dove sia attualmente il suo corpo.

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