Criminal profiling, una parola che abbiamo imparato a conoscere grazie alle serie tv e i podcast true-crime: un misto tra intuito e scienza che adoperano gli investigatori fin dagli anni ’60 per individuare in particolar modo gli assassini seriali. Questa tecnica investigativa regala input preziosi agli inquirenti quando si tratta di risolvere un caso, e non si parla solo di analizzare il profilo del criminale in questione, ma anche quello della sua vittima. Nel campo della vittimologia la prima distinzione che si fa è quella del rischio: in base a stile di vita, status sociale, abitudini e una buona quantità di altre variabili, le potenziali vittime si dividono in rischio alto, medio e basso. Per fare un esempio, se pensiamo a un rapimento ai fini estorsivi, il figlio di un ricco industriale avrà un rischio alto, mentre quello di un impiegato, basso. Se dovessimo quindi fare un ritratto ideale di una persona con un basso rischio di diventare la vittima designata di un serial killer sarebbe decisamente quello della protagonista di oggi, una donna con una vita semplice e abitudinaria, uccisa in una calda sera di agosto. La storia è quella di Gianna Del Gaudio.
MENTRE MORIVO è un podcast scritto e narrato da Marica Esposito con l’editing di Stefano DM.
Trascrizione del Podcast
Gianna ha 63 anni, dopo una vita passata a insegnare da qualche anno si gode la famiglia e la sua villetta, vive in provincia di Bergamo, in via Madonna delle nevi a Seriate. È sposata da qualche decina d’anni con il marito Antonio Tizzani e ha due figli, Paolo e Mario, anche loro sposati. Il quartiere in cui vivono i coniugi è residenziale, tranquillo, il classico isolato con tante villette a schiera disposte su più strade, con il vialetto sempre pulito e le siepi tagliate di fresco. La sera del 26 agosto 2016 tutta la famiglia è riunita per cenare in giardino: le vacanze sono finite da poco, e nella calda afa brianzola si ride, si brinda, si parla del viaggio appena concluso ad Avellino, il paese originario della coppia. Intorno al tavolo ci sono Gianna e Antonio, ma anche Paolo, Mario e le rispettive mogli, Elena e Alessandra. I piatti sono preparati con cura, leggeri e freschi, c’è della mozzarella campana a centro tavola, un souvenir della trasferta al sud.
Intorno a mezzanotte gli ospiti si congedano, Gianna inizia a sparecchiare e poi va in cucina a lavare i piatti. Il marito si attarda invece in giardino, sistema l’ombrellone e annaffia le piante. Passano pochi minuti, quando torna in casa e si trova di fronte un uomo incappucciato che, accovacciato, rovista in una borsa, tra la cucina e il salotto. Sono secondi concitati, l’intruso scappa via e Antonio non fa neanche in tempo a rincorrerlo, perché quando si gira vede una scena raccapricciante: Gianna è riversa in terra davanti al lavandino, in una pozza di sangue. Ha la gola tagliata. L’uomo telefona subito a uno dei figli, poi al 118 per allertare i soccorsi, è mezzanotte e quaranta: quando arrivano Gianna è già morta e non c’è più nulla da fare. La telefonata di richiesta di aiuto è agitata e sconnessa: Antonio non si avvicina alla moglie, la chiama da lontano, urla invano il suo nome dal giardino. Di lì a poco arrivano sulla scena anche i poliziotti, che avvertiti di un potenziale killer in fuga fanno un giro di perlustrazione nel quartiere: non trovano nessuno, solo due ragazze che chiacchierano in macchina e che poi metteranno a verbale una testimonianza dirimente. Qualcuno ha sentito qualcosa? Non Antonio, che non fa mai menzione di urla o grida, Gianna è stata apparentemente colta di sorpresa e uccisa quasi senza accorgersene da un ladro senza scrupoli: anche la sua agonia è stata veloce, è morta dissanguata in pochi minuti.
Le indagini si concentrano in due direzioni: da una parte un fantomatico aggressore, fuggito via senza lasciare traccia, dileguatosi con la stessa agilità con cui era riuscito ad entrare in casa. Dall’altro, la pista famigliare. Antonio Tizzani, ex ferroviere in pensione, dice di essere un appassionato di cronaca nera, tanto da giustificare così la sua estrema freddezza al momento del ritrovamento del corpo. Proprio qualche sera prima dell’omicidio di Gianna, i due erano sul divano a guardare uno speciale dedicato al caso Garlasco: in quella vicenda Chiara Poggi, un’impiegata ventiseienne, era stata uccisa in casa a colpi di martello ed era stato individuato come colpevole il fidanzato Alberto Stasi, dopo un processo lungo e complicato. Era stata Gianna, secondo Tizzani, a dirgli che in una situazione analoga non si sarebbe dovuto avvicinare, per preservare il più possibile la scena del crimine. È qui che il PM inizia a trovare le dichiarazioni dell’uomo bizzarre e contraddittorie, tanto da iscriverlo da subito nel registro degli indagati. Il caso diventa mediatico e comincia a riempire i salotti pomeridiani e della prima serata: si sprecano le interviste, da La vita in Diretta a Quarto Grado. I primi rilievi si fanno in casa: è tutto pulito, non c’è sangue in bagno e neanche nelle tubature, quindi l’assassino non si è lavato. L’aggressore incappucciato viene descritto come un uomo dalla carnagione scura, Antonio ne è sicuro perché dice di avergli visto le mani, eppure non ci sono impronte sconosciute sulla scena, quindi il killer doveva indossare i guanti. Si scopre subito che un altro sospettato in realtà c’è: è la moglie di Paolo, Elena, a dire di essere stata più volte molestata e seguita di sera, da un uomo incappucciato che le aveva perfino citofonato a
casa nei mesi precedenti all’omicidio. Si visionano le telecamera, alcune sono rotte, altre non danno indietro alcuna informazione utile: non c’è traccia di questo aggressore.
Dopo qualche mese arriva il primo colpo di scena: in una siepe, lontana qualche decina di metri dal vialetto dei coniugi Tizzani, viene ritrovato, da un vicino di casa, un sacchetto delle mozzarelle con dentro un taglierino sporco di sangue e dei guanti usati. Le domande degli inquirenti a questo punto sono già tante: se è stato Antonio ad uccidere Gianna, perché ha gli abiti e le mani pulite quando sono arrivati i soccorsi? Facendo un’analisi delle macchie di sangue (la cosiddetta Blood pattern analysis) gli investigatori sono riusciti a capire che Gianna è stata aggredita di spalle, da una persona molto più forte di lei, quindi è verosimile che l’assassino non si sia sporcato molto. Ad avvalorare questa tesi è il fatto che Antonio non abbia sentito alcun grido o rumore provenire dalla casa: le due ragazze fermate pochi istanti dopo l’omicidio, invece, mettono a verbale di aver udito poco prima della mezzanotte delle urla di un litigio: un uomo insultava una donna mentre lei piangeva. Anche i vicini di casa ascoltano delle voci agitate, poi, dopo dici minuti di silenzio un urlo straziante rompe la notte e infine, la calma e poi le sirene dell’ambulanza.
Eppure il matrimonio di Antonio Tizzani e Gianna Del Gaudio viene descritto da tutti come tranquillo, con qualche litigio di poco conto tipico di ogni matrimonio, sui social le foto insieme sono tante: lei ha i capelli rossi, la frangetta, il sorriso simpatico, lui è un uomo in carne, con i capelli bianchi e il pizzetto. Certo, negli ultimi tre anni Gianna aveva parlato di scontri anche accesi e maltrattamenti, era anche andata al pronto soccorso un paio di volte per farsi medicare in seguito a cadute o incidenti. La donna non sembra aver mai avuto paura del marito, lo descriveva come un uomo molto geloso, ma che tuttavia la amava e a cui lei a sua volta voleva molto bene. Intanto, arrivano i riscontri delle prime analisi sulla busta ritrovata, busta che conteneva le mozzarelle che la famiglia stava mangiando in quella che purtroppo è stata l’ultima cena di Gianna: il taglierino ha sopra il suo sangue, a riconferma che si tratta proprio dell’arma del delitto, ma c’è anche una traccia genetica di Tizzani. Su un guanto, invece, viene ritrovato un cromosoma aplotipo Y di un uomo sconosciuto. È un pezzetto di un profilo genetico che non appartiene a nessuno della famiglia, anche se è troppo poco per identificare qualcuno con certezza.
È proprio questo DNA sconosciuto che apre la pista a un possibile serial killer. Sì, perché nonostante sia presente sul taglierino anche il DNA di Tizzani, la difesa ci tiene da subito a sottolineare che potrebbe essersi trasferito dalla busta, che il Tizzani aveva sicuramente maneggiato in precedenza.
Dicembre 2016, Colognola, provincia di Bergamo, via Keplero numero 11: siamo a circa 7 chilometri dalla casa di Gianna e Antonio. Daniela Roveri è una manager in carriera di 48 anni, è single, ma da qualche tempo si frequenta con un uomo, un’altra vita semplice e senza ombre, un altro dipinto perfetto della cosiddetta vittima a basso rischio. Eppure, quella sera, anche su di lei si abbatte la mano di un killer sconosciuto. Daniela è laureata in economia e commercio e lavora in un ruolo di spicco in una grande azienda meccanica che produce materiali per il trattamento della ceramica. È riservata, ma molto sicura, sa come farsi valere, ama la palestra, prendersi cura di sé e viaggiare appena ne ha l’occasione. In quei giorni sta organizzando la cena aziendale per salutare tutti i colleghi e festeggiare il Natale in famiglia, si respira aria di festa anche nell’androne del palazzo dove rincasa la sera del 20 dicembre. Ad aspettarla a casa c’è la mamma Silvia Arvati con cui vive, hanno l’abitudine di telefonarsi la sera per spostare l’auto e scambiarsi il parcheggio in strada, così quando la figlia non risponde la donna decide di scendere per aspettarla, certa che si tratti solo di un contrattempo… Purtroppo la trova riversa all’entrata, Daniela sembra essere svenuta, ma quando la donna la gira si accorge del taglio al collo, che d’improvviso si apre riempiendo il pianerottolo di sangue. A nulla serve chiamare i soccorsi, Daniela è già morta. La sua borsa non si trova, ma il suo IPhone 6S viene agganciato da una cella che serve via Keplero: per un giorno e mezzo viene localizzato nella zona, verosimilmente il tempo di durata della carica, poi si è spento. L’assassino deve averlo gettato fra le aiuole per disfarsene insieme al resto degli averi di Daniela, simulando una rapina.
Si sta ancora indagando sul caso Del Gaudio, quando il presunto serial killer colpisce ancora, a poche centinaia di metri in linea d’aria, in un quartiere anche questo tranquillo. Quando gli inquirenti sono ancora impegnati in rilievi e analisi, arriva una lettera nella buca della donna, la missiva è firmata “Carlo” e le parole sono violente, crudeli, si parla della giusta punizione per il male fatto in passato. Chi ha scritto questa lettera? Si potrebbe pensare a un mitomane, eppure la lettera, con timbro postale Verona arriva nella buca delle lettere neanche 48 ore dopo il delitto… chi l’ha spedita deve averlo fatto con una tempistica ineccepibile, quasi a ridosso della morte di Daniela. Che sia stato davvero l’assassino? Sulle guance le vengono rilevate delle tracce, probabilmente perché l’assassino l’ha colta di spalle e le ha tappato la bocca con la mano.
Incredibilmente il DNA ha lo stesso aplotipo Y di quello ritrovato sui guanti del possibile omicida di Gianna, eppure è difficile collegare davvero i due casi, non è possibile stabilire se il DNA appartenga davvero alla stessa persona, visto che un solo aplotipo non è determinante, ma quantomeno potrebbero essere parenti alla lontana per linea materna. Una casualità remota ed eccezionale, eppure possibile. La vita di Daniela, viene scandagliata in ogni pista possibile: le relazioni e le amicizie, l’ambito lavorativo, ma anche i vicini di casa e i parenti, non emerge niente di niente, nonostante gli svariati interrogatori. Solo una testimone si fa avanti: una vicina di casa che dice di aver sentito dei passi provenire dal sottoscala per poi fermarsi all’entrata senza uscire. Probabilmente l’assalitore è rimasto nascosto in attesa che la donna facesse rientro, per poi sorprenderla e ucciderla.
Di certo non può essere stato l’incappucciato, perché nel processo di primo grado che nel frattempo inizia per Antonio Tizzani, la nuora smentisce questa testimonianza: dice di non essere mai stata molestata da nessuno, e di essersi inventata tutto per convincere il marito a cambiare i turni lavorativi per non lasciarla sola di notte. Scartata anche questa ipotesi rimangono però due fatti: sul luogo c’era solo Tizzani ma l’aplotipo Y rilevato sui guanti instilla più di un dubbio sulla sua colpevolezza. Esiste quindi un serial killer? Probabilmente no, il caso Roveri è stato archiviato dalla procura nel 2019, non avendo trovato alcuna pista percorribile nell’indagine. Anche se questa ipotesi può essere suggestiva chi ha potuto analizzare approfonditamente i casi ci tiene a specificare che la mano dell’assassino è palesemente diversa: da un lato, un taglierino usato in modo incerto, dall’altro uno strumento molto affilato che ha provocato un taglio netto e chirurgico.
Nel 2022 Tizzani è stato assolto anche in Appello per non aver commesso il fatto. Viene trovato innocente anche riguardo le accuse di maltrattamenti. Ad oggi non sappiamo chi ha ucciso Gianna Del Gaudio e Daniela Roveri.
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