“…mio padre era solito dire che la ragione per vivere era essere pronti a restar morti molto a lungo”. Questo fa dire alla protagonista William Faulkner, nel suo romanzo “Mentre Morivo”. Le storie di questo podcast – contrariamente al titolo – non sono letteratura. Sono le vite rumorose, colorate, scompigliate, ordinarie e straordinarie di tante donne. Donne uccise a cui non è stata fatta giustizia, almeno fino ad oggi. Ve le racconto io, Marica Esposito, in questa terza stagione, con l’editing di Stefano DM, in collaborazione con Spreaker Prime.
MENTRE MORIVO è un podcast scritto e narrato da Marica Esposito con l’editing di Stefano DM.
Trascrizione del Podcast
È la sera del 20 agosto 1999, Roberta Martucci è a casa, la casa di Torre San Giovanni dove vive con la mamma e le sue sorelle. È un posto di mare, anzi, una delle località di mare più belle e frequentate del Salento, Marina di Ugento, la parte costiera della cittadina, si affaccia con il suo paesaggio bianco e selvaggio sul mar Ionio e la zona, complice l’alta stagione, è piena di turisti. Anche Roberta è in vena di far festa, ha la pelle abbronzata e le guance rosse di sole, i capelli lunghi e neri che le cadono sulle spalle. Si sta preparando per uscire con le amiche e andare a ballare a Gallipoli, poco distante. La sorella Sabrina la vede truccarsi in bagno, sono circa le 20, le chiede un passaggio in auto e Roberta accetta subìto, e anzi le dice che l’indomani sarebbe stato bello uscire insieme. Sono cinque sorelle, tutte accomunate da una vita semplice e tranquilla, Roberta è l’ultima, ha 28 anni, si è lasciata da poco con il fidanzato storico ma è tranquilla. Lavora in un centro per anziani, ha delle nuove amicizie e poi è estate, la testa è più leggera, sono giorni di mare e riposo. Un ultimo sguardo allo specchio, una sistemata alla gonna leggera, si infila i tacchi e le due partono sicure a bordo della Fiat Uno bianca della madre. Roberta saluta la sorella: “Non faccio tardi”, le dice, “Mi vedo con Rory e Rita e per le 23 sono a casa.” Rory, l’amica di Roberta, la chiama proprio in quei minuti. Sabrina le sente dire “Sto arrivando” mentre chiude lo sportello e si allontana. Eppure, a quell’appuntamento, Roberta non arriverà mai.
Sono le 23 e della ragazza nessuno ha notizie. Rory aspetta, la chiama, le manda perfino un sms chiedendo di farsi viva, ma nulla. Roberta non si trova e neanche la sua Uno bianca. Anche la mamma, preoccupata, le telefona. Il cellulare risulta da subito spento, poi, verso le 3 di notte comincia a squillare,prima di tornare irraggiungibile.
Le ricerche degli inquirenti non partono subito, come da consuetudine si fanno aspettare le fatidiche “48 ore” prima di sporgere denuncia: ora sappiamo che le prime ore sono preziosissime e che la tempestività è essenziale in ogni caso di scomparsa, ma siamo alla fine degli anni ’90 e quindi, si aspetta. Quello che sembra chiaro fin da subito è che Roberta non si è allontanata per sua volontà, e questa consapevolezza nella famiglia e negli investigatori diventa ancora più lampante quando quattro giorni dopo, il 24 agosto 1999 viene ritrovata l’auto.
La Fiat Uno bianca con cui la ragazza è uscita sembra riapparire magicamente nei pressi di Via Genova, a Gallipoli. È praticamente nuova, senza graffi o segni di incidente. Ma non è in una posizione casuale: la vettura si trova rispettivamente a 100 metri di distanza dalla casa di Rita e a una manciata di metri dal luogo di lavoro di Rory. Gli inquirenti arrivano sul posto e sequestrano l’auto, che viene ritrovata senza chiavi e senza documenti all’interno: la portiera del lato passeggeri è chiusa a chiave, mentre quella del guidatore è lasciata aperta. Chi l’ha lasciata lì si è portato con sé tutto quello che conteneva, ma chi è stato? Ci vogliono sei mesi per analizzare a fondo l’autovettura, intanto ci si concentra sulle due ragazze e sulle ultime ore di vita di Roberta.
Rita e Rory frequentano Roberta solo da qualche mese, interrogate dicono di non conoscerla così bene, eppure dai tabulati telefonici i contatti sembrano tutt’altro che sporadici. La prima incongruenza che salta subito agli occhi di chi indaga risale proprio alla sera della sparizione, la giovane dice alla sorella e alla madre di essere diretta a una festa, le due amiche, invece, ribadiscono che dovevano vedersi per un semplice giro in centro per negozi. Dove era diretta in realtà Roberta sembra essere un giallo nel già di suo fitto mistero, un mistero che inizia la mattina del 20 agosto. Alle 8 del mattino la ragazza si prepara per andare al mare con gli zii e la sorella Gina, è contenta perché in giornata sarebbe tornata da Bologna l’altra sorella, Sabrina, una ragazza che scopriremo poi custodire un segreto quasi inconfessabile. La mattinata in spiaggia è tranquilla, Roberta riceve un paio di telefonate, una breve e concisa, parla seduta sul telo da mare e gli zii la sentono. Quando il cellulare squilla la seconda volta, invece, si allontana: a questo punto non sappiamo né con chi stia parlando, né cosa stia dicendo, probabilmente però litiga con qualcuno perché gesticola animatamente e sembra innervosita.
Ora Roberta è sparita da soli tre giorni, gli inquirenti ancora non sanno che pista prendere eppure in procura cominciano ad arrivare i primi fax anonimi e qualche dichiarazione spontanea: è un cognato della giovane, tale Donato, a mettere a verbale di essere stato anche lui al mare con la famiglia e di aver sentito Roberta litigare proprio con Rory, quella mattina. Eppure gli zii smentiscono, lui non c’era e loro si trovavano addirittura in uno stabilimento diverso da quello fatto mettere a verbale. Il fax è ancora più chiaro: “per sapere la verità dovete chiudere quelle due in gabbia”, così quando l’auto viene ritrovata tutti gli occhi sono puntati su ipotesi di festini, droghe e ovviamente la cerchia delle amicizie.
Dopo qualche mese le indagini si arenano, non c’è una sola impronta sulla Uno bianca, che sembra essere stata ripulita prima del ritrovamento. La pista delle amiche? Solo depistaggi. A questo punto la famiglia è sicura che Roberta sia stata fatta sparire, nonostante questo una delle sorelle decide di far rottamare l’auto. E’ in questo momento che secondo gli atti, chiave e libretto di circolazione ricompaiono. Chi li aveva custoditi fino a quel momento? E soprattutto, come faceva ad esserne in possesso? L’auto continuerà ad essere avvolta dal mistero, non solo per la rottamazione così immediata, ma anche perché sempre il cognato di Roberta testimonia di essere passato più volte nel luogo in cui è stata poi ritrovata, ma l’auto non l’aveva mai vista. Purtroppo, dopo anni di ricerche e buchi nell’acqua, l’indagine viene archiviata nel 2001, poi riaperta e di nuovo chiusa nel 2015. Eppure, negli anni, non sono mancati fax mandati alla procura o ai giornali locali, tutti anonimi oppure bigliettini firmati ipoteticamente dalla stessa Roberta. Tentativi di orientare le indagini lontano dall’ambito famigliare, ma a che scopo?
La svolta arriva solo qualche anno dopo, quando alle telecamere di Chi l’ha visto? Sabrina, la sorella di Roberta che nel giorno della sua scomparsa era tornata da Bologna per le vacanze, rivela un segreto che spezza definitivamente in due la famiglia. La donna, oggi quarantenne, parla per la prima volta accusando il cognato di averla molestata più volte fin da minorenne, e di sospettare che avesse molestato anche Roberta. Forse, dice, lei si è ribellata e lui l’ha fatta sparire, oppure la ragazza gli ha rivelato di voler dire la verità alla moglie, smascherandolo davanti a tutti. Queste nuove dichiarazioni riaccendono la pista investigativa, ma dividono il nucleo famigliare: da una parte Sabrina e Lorella, le due sorelle convinte che l’assassino si trovi proprio tra le persone più vicine a Roberta, dall’altra la moglie di quello che poi sarà indagato dalla procura. A sostegno di questa tesi solo prove indiziare: si sa però che la ragazza, prima di sparire, si era in effetti confidata con un’amica riguardo un uomo molto insistente nei suoi confronti, di cui purtroppo non fa il nome. Di certo Roberta deve aver incontrato il suo assassino nel tragitto in auto tra Torre San Giovanni e Gallipoli.
Il caso torna davanti al GIP nel 2019: secondo il team di Roberta Bruzzone, criminologa incaricata dalla famiglia Martucci, chi era in possesso delle chiavi e dei documenti dell’auto dev’essere la stessa persona che ha fatto sparire la ragazza. Il motivo è semplice: la chiave era solo una ed era in possesso di Roberta, visto che stava guidando, mentre riguardo il libretto di circolazione non c’è traccia della richiesta di un duplicato, quindi al momento della rottamazione dev’essere stato presentato l’originale. Insomma, chi ha avuto accesso a quei documenti e alla chiave, doveva averli presi dall’auto la sera del 20 agosto 1999, la sera in cui Roberta è sparita nel nulla.
Negli anni si sono susseguiti avvistamenti, false piste lanciate in campo da mitomani, depistaggi vari e si è fatta perfino avanti una ragazza dichiarando di aver visto in sogno la giovane, secondo lei uccisa e poi nascosta in un trullo. Suggestioni e congetture, troppo poco per andare a processo secondo la procura, che per l’ennesima volta ordina l’istanza di archiviazione nel marzo 2022. A quasi 23 anni da quella calda sera di agosto, ancora non sappiamo che fine abbia fatto Roberta, uscita con la sua gonna nera a fiori, mai tornata a casa.
Mentre Morivo – storie misteriose di donne uccise, è un podcast Spreaker Prime di Marica Esposito, con l’editing di Stefano DM. Fonti e trascrizioni sono sul sito italiapodcast.it . Segui il podcast su Instagram e lascia una recensione sulla tua app di ascolto preferita. Se non ne hai ancora abbastanza di crimini, continua l’ascolto con NAP: Non un altro podcast true crime.
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